Come previamente concordato con la Direzione editoriale a riguardo della rubrica affidatami, il nuovo anno da poco iniziato verterà ancora sul ricchissimo patrimonio della spiritualità della Chiesa slava d’Oriente, invero poco conosciuta e ancor meno divulgata, anche se molti sono gli elementi liturgici orientali entrati nei riti della Chiesa d’Occidente, come ad esempio testimonia ampiamente il rito ambrosiano officiato nelle Chiese di Milano. Tuttavia, a differenza dello scorso anno in cui si è di volta in volta percorso l’intero calendario liturgico — che nella Chiesa bizantino-slava ricordo iniziare il primo settembre —, enucleando le grandi feste liturgiche e affiancando a queste le festività di Santi di grande respiro al fine di dare indicazioni quanto più complete (ancorchè di primo livello) sulla struttura dell’anno liturgico bizantino, si è pensato di affinare il nostro già cospicuo bagaglio culturale in merito.
Così, gli appuntamenti quindicinali del 2010 saranno diversamente suddivisi: il primo riguarderà quella che solo superficialmente si potrebbe indicare come santità minore; l’attenzione sarà cioè posta sulla figura di un Santo che in occidente non conosciamo ma che, proprio per il fatto di essere prepodòbnij, vale a dire ‘molto somigliante (a Dio)’, ugualmente ad altri svolge l’impagabile compito di avvicinarci a Dio. «La presenza dei Santi nella Chiesa — ebbe a scrivere uno dei maggiori teologi della Chiesa d’Oriente, Sergej Bulgakov — non ci separa da Cristo, ma ci avvicina a Lui». Ciò indipendentemente dalla loro collocazione occidentale od orientale e ciò anche in vista di un sempre più auspicato ecumenismo tra le due Chiese. Nella seconda parte del mese, al fine di caratterizzare meglio l’esempio di santità di cui si è trattato in precedenza, verrà utilizzato il materiale reso disponibile dagli scritti riferibili al santo. Così, ad esempio, mentre in questa puntata si parlerà di Teofane il Recluso, nella seconda uscita di Gennaio se ne completerà il quadro andando a scegliere e a commentare alcuni passi dei suoi scritti.
Feofan Zatvornik — così la Chiesa slava d’Oriente chiama Teofane il Recluso, al secolo Georgij Vasilievič Govorov — è figlio d’arte, come si direbbe oggi. Il padre infatti era un sacerdote ortodosso e dunque si può dire che la sua nascita, il 10 gennaio del 1815, più che nel cuore della Russia, a Chernavskoye nella provincia di Orel’, avvenne nel cuore della Chiesa, quella Chiesa che lo accolse fino dal primo respiro e che lui non lasciò mai fino all’ultimo respiro. Fu nel corso della sua formazione sacerdotale che avvenne uno degli incontri che condizionarono la futura vita spirituale e non di Teofane, vale a dire le numerose puntate da lui fatte alle Kievo-Pecherskaya Lavra, i ‘Monasteri delle Grotte di Kiev’ di cui si è parlato nel primo numero di Maggio dello scorso anno e che hanno sempre costituito uno dei più alti centri di spiritualità della Chiesa slava.
Qui Teofane comprese il fascino del monachesimo e le parole con cui l’abate Partenio lo accolse furono, potremmo dire, il motto al quale egli uniformò non soltanto la sua vita religiosa, ma l’intera sua esistenza: «Ricorda che una cosa è più necessaria di altre: pregare e ancora pregare senza posa Dio, con la tua mente e con il tuo cuore». La tonsura di iniziazione che egli ricevette all’inizio della sua vita di monaco e che avrebbe dovuto suggellare quella rinuncia al mondo che le frequentazioni della Lavra avevano poco alla volta determinato nel giovane Feofan non gli impedì di obbedire allorché venne nominato rettore pro-tempore del seminario teologico di Kiyv, o allorchè nel 1859 gli fu conferito il titolo di vescovo di Tambov e successivamente, nel 1866, di Vladimir.
Il contatto tuttavia con quella parte di mondo corrosa dal male, dalla corruzione e dall’aridità spirituale — oggi si direbbe laicismo relativista — preoccupa e sovrasta il vescovo Teofane al punto da fargli nuovamente maturare l’idea di considerare il servizio pastorale unicamente all’interno della preghiera, concependo se stesso come preghiera vivente per l’umanità intera e la propria esistenza nella radicalità del monachesimo. Nulla e nessuno avrebbe più dovuto disturbare la sua completa comunione con Dio, la sua offerta totale al Signore: così Teofane lasciò il mondo per stare solo con Dio.
A partire dal 1872, la sua divenne una reclusione volontaria anche quando per le Liturgie si trovava tra altre persone: per non distogliersi neppure un attimo dalla radicalità pesante della scelta effettuata, manteneva una posizione immobile, senza muoversi, senza parlare e con gli occhi chiusi. Se interpellato, nella sua funzione di vescovo, rispondeva il minimo indispensabile per poi rientrare in sé e nella preghiera. Anche il cibo divenne il minimo indispensabile per non ammalarsi. Pur recluso, ben presto divenne una figura pubblica di enorme carisma spirituale e la sua vita trascorse senza che il mondo si accorgesse di lui. Anche la morte per lui giunse in solitudine, non percepita da nessuno: fu trovato morto il sei Gennaio 1894 riverso sul suo giaciglio, con la mano sinistra sul petto e la destra come in atteggiamento benedicente. La canonizzazione avvenne nel 1988.
«La verità delle cose ti ha rivelato al tuo gregge come regola di fede. Per questo motivo hai raggiunto le vette dell’umiltà e le ricchezze della povertà, o Padre Teofane. Intercedi presso Cristo Dio affinchè le nostre anime siano salvate», sussurra nel rispetto per una vita concentrata su Dio un tropario del giorno della sua commemorazione, il sei Gennaio.