A prima vista potrebbe sembrare un puro fenomeno imprenditoriale ed economico. Ma se le Valli del Natisone – e in particolare il comune di San Leonardo – in pochi anni sono diventati la zona del Friuli a maggior concentrazione di imprese boschive, è un fatto prima ancora culturale.
È, in definitiva, un esempio posistran tivo in cui i valori spirituali della famiglia e dell’amore e il rispetto dell’ambiente, insieme alla cultura materiale trasmessa fin dalla tenera età con il seguire il papà o i parenti nel bosco, passano per osmosi tra generazioni, arricchendosi di nuove sfide, di professionalità e capacità manageriale.
Dopo quella pubblicata sullo scorso numero del Dom, vediamo insieme altre due storie esemplari di questo «boom di boscaioli».
Il gioco da bambino è diventato impresa
Per Andrea Dugaro, 39 anni, la vocazione da boscaiolo inizia da bambino, seguendo il padre nel bosco a fare legna. Non una attività imprenditoriale vera e propria, ma tutti i rudimenti e la cultura del taglialegna si trasmettono da padre in figlio. «Piuttosto che lasciarmi a casa da solo, papà Antonio mi portava con lui – racconta –. All’inizio mi ha fatto quasi odiare il bosco, perché l’ho vissuta come una imposizione, dopo è diventato un gioco, trasformatosi in passione e poi in lavoro vero e proprio. Il giorno del suo settantesimo compleanno gli ho regalato una foto nostra insieme con queste parole: “Il gioco di un bambino è diventato una professione”».
L’amore per la propria terra lo ha portato a scegliere come scuola l’istituto agrario di Cividale, già con la precisa idea di diventare un imprenditore nel settore agrario: «Col diploma agrario si possono saltare dei corsi propedeutici alla richiesta della partita Iva – spiega Andrea –. Già alle medie avevo deciso che quello era il mio futuro e subito dopo la scuola, finito il servizio militare, ho aperto partita Iva. Nel 2005, a 21 anni, ho aperto la mia impresa con sede a Ussivizza di San Leonardo e un capannone a Cemur. Oltre che a San Leonardo, tagliamo boschi anche nei comuni di San Pietro al Natisone, Stregna, Grimacco e Pulfero. Un gioco, con la mia passione infantile per i macchinari e i trattori e di stare all’aria aperta lavorando nella natura, è diventato con la maturità un lavoro, che alla fine rimane una grande passione! Se guardiamo il riscontro economico rispetto alle ore di lavoro che si fanno, dovrei essere miliardario! In realtà è la passione che mi sostiene».
In tutto ciò un ruolo importante lo gioca l’amore per il proprio territorio: «La natura, gli incontri con la fauna come caprioli e cinghiali, beccacce, scoiattoli, fanno un bellissimo quadro – evidenzia Andrea – . Non ho mai preso in considerazione di fare un altro lavoro, magari al chiuso e in pianura. Anzi, andando avanti, ottimizzando il lavoro con l’acquisto di macchinari, la passione aumenta».
Nelle Valli del Natisone «non c’è un bosco da cartolina, come quello di abeti nel Trentino o le faggete del Cansiglio. È un ambiente particolare, ripido e scosceso, in molti punti roccioso, altrove fangoso, molto vario (castagneti, bosco ceduo, qualche faggeta…), non un ambiente agevole e semplice per lavorarci. Negli ultimi anni, il lavoro con materiale da lavorazione come tronchi di acero, frassino, ciliegio, noce che poi finivano nelle segherie per tavolame è andato a decadere, un po’ per carenza di materia prima, un po’ per il tracollo del Triangolo della sedia che ha diminuito drasticamente la domanda. Oggi è richiestissima la paleria per vigna, sia di acacia che di castagno per la loro durata nel tempo. Il resto è legno da brucio».
Dugaro vede con scetticismo la possibilità di fare nuovi impianti con essenze più richieste dall’industria. «Intanto bisognerebbe eliminare tutto quello che c’è – spiega –, poi sui nostri versanti la ricrescita del sottobosco è molto rapida e ciò aumenta le spese di manutenzione. Solo nelle faggete il sottobosco rimane pulito da rovi e abusti che soffoca tutto ciò che di piccolo può crescere. Anche i castagneti rendono poco, sia come frutto che come legno da brucio. Il mercato lo snobba, anche se personalmente lo trovo ottimo».
Consiglierebbe questa professione ad un giovane? «Se c’è la passione senza dubbio – risponde Dugaro –, come in ogni lavoro. Bisogna buttarsi e partire. Certo bisogna essere coscienti che avere una impresa significa improntare tutta la vita in un certo modo. Non ci sono orari di lavoro prestabiliti e neanche giorni festivi intoccabili. Quando la creatura è tua cerchi di fare più che puoi».
Orgoglioso di fare belle le Valli
Per Riccardo Predan quella del boscaiolo non è solo una tradizione di famiglia, ma già una impresa da 30 anni. «Mio papà comprò il suo primo trattore con carretto e iniziò a fare bosco – racconta Riccardo –, fondando la Predan Legnami. Con gli anni l’attività si è evoluta e anche io e mio fratello Alessandro siamo entrati come contitolari aiutando il papà e permettendo all’azienda di crescere. Ora abbiamo anche due dipendenti. Fin da bambino venivo a giocare nei locali dell’azienda e dai 14 anni davo già una mano. A 13 anni ho preso in mano per la prima volta la motosega. Mio papà non voleva, ma sapevo già tagliare un albero da solo. Già con l’idea di entrare in azienda, ho frequentato alle superiori l’Istituto tecnico commerciale e ora seguo anche tutto il settore contabile amministrativo».
In altre zone del Friuli la successione tra padri e figli nel bosco fa un po’ fatica, «mentre qui nelle Valli del Natisone ci sono tanti esempi positivi di continuità, non solo tra padri e figli ma anche tra zii e nipoti. È un bel segno di unità delle famiglie e di amore per il nostro territorio. Sono molto orgoglioso di essere di Tribil, della bellezza dei nostri boschi e dei nostri prati. Siamo anche uniti come boscaioli nelle Valli. La festa di domenica 25 giugno a San Leonardo l’abbiamo organizzata insieme. Ci sentiamo i custodi dell’ambiente, impegnati a tenere bene il paesaggio. Oggi Tribil, il Matajur e il Kolovrat sono davvero molto belli. Oggi vedo che i giovani sono attaccati più allo smartphone che alla motosega e hanno il mito della città. È un peccato, si rischia di perdere valori molto importanti».
Il bosco è il grande tesoro delle valli, «un patrimonio che è sostenibile perché si rigenera con una giusta programmazione che rispetti i cicli di ricrescita. La gente di pianura vede spesso noi boscaioli ancora come persone che distruggono il bosco.
In realtà poniamo le basi affinché il bosco cresca sano e migliore. I piani di taglio vengono sempre concordati con la Guardia Forestale che alla fine decide cosa deve essere preservato e non tagliato, per i suoi valori naturalistici e paesaggistici. Inoltre nei boschi un po’ più diradati, meno densi di alberi, il sole aiuta la ricrescita naturale del faggio, un legno di pregio molto richiesto per il brucio».
Predan è convinto che il bosco nelle Valli del Natisone abbia un grande futuro: «Penso che anche da noi arriveremo a migliorare il bosco con essenze più pregiate. Ci sono molti ostacoli ma alla fine ce la faremo. Comunque seguiamo con attenzione il mercato e l’innovazione tecnologica. Se ci sono incentivi l’attività boschiva in montagna progredisce, non esistono solo i boschi di pianura. Quando ci sono gli incendi e le frane e le alluvioni, la gente capisce l’importanza di sostenere il nostro lavoro. Nei nostri progetti c’è anche quello di proporci per pulire gli alvei dei nostri fiumi dagli arbusti che vi crescono o da quelli che vengono trasportati dalla piene e che minacciano ponti e passerelle».
Consiglierebbe questo lavoro ad un giovane? «Sì. Tra escavatori, teleferiche, macchinari specializzati, la fatica fisica è sempre meno, ormai quasi limitata all’uso della motosega. Se si vuole stare a contatto con la natura e avere un lavoro vario, non confinato in ufficio o in fabbrica, è l’ideale». (Roberto Pensa)