Nel suo studio sul plebiscito in Veneto 1866, basato sui documenti del ministero degli Esteri austriaco, lo storico del diritto Jaromir Beran, ricorda che fino all’armistizio, ma anche in seguito, circolarono ipotesi e notizie divergenti a proposito della definizione dei confini tra Italia e Austria. Nell’animata arena politica italiana ci furono anche pressioni sul governo.
Da Trieste intervenne in veste ufficiale il luogotenente dell’imperatore per il Litorale, Ernst Leopold Kellersperg, deciso a conservare l’integrità della regione di Gorizia e di respingere la valanga di richieste e di mire dell’Italia nella questione riguardante il nuovo confine. In seguito alla perdita del Veneto il Kellersperg considerò la posizione e il carattere nazionale sloveno di Gorizia come uno degli elementi essenziali del nuovo confine austriaco.
La sua lettera del 14 luglio 1866 era indirizzata direttamente al ministro degli Affari esteri. Dal momento che da alcune comunicazioni di guerra si poteva recepire che l’Isonzo poteva rappresentare la nuova linea di confine, egli pregava il ministro di riferire ai comandanti dell’esercito, che intanto si era spostato sul fronte settentrionale, che l’Isonzo dalla sorgente alla foce scorreva nella regione di Gorizia e non rappresentava il confine né tra il Veneto e la regione goriziano – gradiscana del Litorale austriaco, né della federazione tedesca. Di seguito, descriveva brevemente dove in realtà correvano i confini e menzionava anche gli atti che definivano la linea di demarcazione della federazione tedesca nel Litorale. Ammoniva di non inglobare nel concetto di “Veneto” o di “territorio veneto” i territori del Litorale che una volta facevano parte alla Repubblica di Venezia, ma non appartenevano al Regno austriaco del Lombardo-Veneto, istituito nel 1814. Faceva notare che il confine nazionale o linguistico non coincideva con quello dello stato e precisava quali parti del Goriziano erano italiane. «Quindi — scriveva — tutti i distretti di Gorizia, Canale e Tolmino situati sulla sponda destra dell’Isonzo sono esclusivamente sloveni (ausschliesslich slawisch) e l’area linguisticamente slovena si estende fino al Veneto in due aree che vanno fino al fiume Fella. Se si pensa al confine da questo punto di vista (linguistico, ndr) — ribatteva —, si può pretendere che il territorio del Litoriale invece che rimpicciolirsi, si estenda territorialmente».
I seguenti avvenimenti in campo diplomatico e militare impedirono che che l’Isonzo diventasse di nuovo il confine dei due stati contendenti.
Il testo definitivo sui confini del Veneto si trova nell’articolo 4 del Trattato di pace del 3 ottobre 1866, che così recita: «I confini del territorio ceduto sono definiti con gli attuali confini amministrativi del Regno Lombardo-Veneto. Entrambi gli stati contraenti stabiliscano una commissione militare alla quale affidare il compito di tracciare la linea di confine nel più breve tempo possibile».
La determinazione del primo paragrafo del Trattato era diventato per la parte austriaca un assioma politico che escludeva ulteriori o successivi trattati sulla fisionomia giuridica o la posizione di questo confine. Per ogni cambiamento che riguardasse l’uno stato o l’altro, sarebbe stato necessario un nuovo trattato, cosa che l’Austria, viste le condizioni in cui si trovava in quel periodo, voleva evitare. L’incaricato italiano per la definizione delle condizioni del trattato di pace, generale Luigi Federigo Menabrea, già un giorno prima, in un comunicato sui problemi critici del confine, aveva invano consigliato al ministro degli Affari esteri di aggiungere nel testo la seguente dicitura: «Entrambi i Paesi contraenti si impegnano a rettificare i confini in un secondo momento (procéder ultérieurment a une réctification des frontières)».
Nel frattempo con una lettera, datata 13 settembre 1866, il luogotentente dell’imperatore a Trieste si era messo nuovamente in contatto con il ministro degli Esteri. In essa riferiva che a Gorizia si diffondevano, ripetutamente ed anche sui giornali, le notizie sull’annessione all’Italia del distretto di Cervignano che avrebbe dovuto fungere come compenso per i distretti sloveni (slawische Distrikte) della provincia di Udine, nel caso in cui questi fossero rimasti all’Austria. Questa zona ricca e molto importante dal punto di vista commerciale del “Friuli austriaco” superava di gran lunga i territori della provincia di Udine che l’Austria avrebbe potuto ottenere. Cervignano con i suoi 22000 abitanti era il giardino della pianura friulana, come lo erano le regioni del Regno Lombardo-Veneto ma, grazie all’accesso al mare, Cervignano era ancora più importante. Il traffico commerciale era vivace e le persone molto attive. Sebbene fossero comunità italiane, sostenevano l’Austria e avevano dimostrato il loro patriottismo; non volevano, quindi, neanche sentire parlare della loro annessione all’Italia. Tra loro regnava un atteggiamento di fedeltà all’Austria, per questo bisognava dare al distretto di Cervignano un’assoluta preferenza rispetto a quelle zone della provincia di Udine in cui le persone vivevano ancora di allevamento e agricoltura di montagna (Alpenwirtschaft). Per quanto riguarda il confine con l’Italia, nel Litorale austriaco non era possibile trovare un confine naturale. I piccolissimi fiumi torrentizi Iudrio e Torre non soddisfacevano tale istanza e ancora di meno l’Isonzo che non rappresentava né un confine statale né linguistico, visto che sulla sponda destra del fiume fino al Fella abitavano numerosi sloveni.
Il governo il 16 settembre 1866 (decreto n. 5558/St. M.) accolse il parere del luogotenente imperiale per il Litorale e fece notare al ministero degli Affari esteri che la stazione di Cervignano sulla linea ferroviaria “principe Rodolfo”, che era stata progettata, era un punto chiave e fondamentale dal punto di vista dei traffici commerciali.
Particolare è l’analisi per quanto riguarda la mentalità fiscale e statalistica della burocrazia tedesca al governo. Ma l’intervento del luogotenente imperiale a Trieste non fu decisivo. La parte austriaca in tutto il periodo di crisi del 1866, si era attenuta meccanicamente alle soluzioni che l’inevitabile perdita riguardasse solo una regione, ovvero il Veneto, nei suoi confini regionali definiti giuridicamente nell’ambito dell’Impero austriaco. Ferma su questa posizione l’Austria riuscì a vincere, grazie all’appoggio della Prussia.
Già durante la fase della definizione dei confini, l’Italia si era aggrappata alla linea idrografica Iudrio — Torre — Isonzo che, nella seduta della commissione il 29 marzo 1867, era stata difesa, senza possibilità di successo, dal capo della delegazione italiana, generale Carlo Felice Robilant. Per imporre questa linea, già prima del trattato di pace, i negoziatori italiani avevano fatto la proposta che in cambio del distretto di Cervignano venissero annessi all’Austria tutti i paesi sloveni della zona del Natisone. Ma nel lavoro della commissione per i confini non vi è traccia di questa proposta, perché, in base all’inequivocabile articolo IV del Trattato di pace e delle istruzioni restrittive date ai membri austriaci, non verrebbe più presa in considerazione.