Un ricordo strumentalizzato_V druge namene izrabljen spomin

Ricorre puntuale, come ogni anno, il 10 di febbraio, il «Giorno del ricordo» istituito 17 anni fa «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo e della più complessa vicenda del confine orientale». Negli oltre tre lustri percorsi da allora, le campagne celebrative non si sono limitate al compianto per le vittime, ma sono state troppo spesso sfruttate a fini ben diversi e molto poco hanno contribuito a fare chiarezza delle responsabilità e dei complessi fattori che hanno generato le atrocità che vengono man mano evidenziate.

La cattiveria, mi è stato insegnato, consiste soprattutto nel sapere che si sta facendo del male e farlo, continuare a farlo lo stesso. Pertanto il primo passo verso una giusta e reale valutazione dei fatti parte da una conoscenza non basata sul sentito dire, su enfasi interpretative individuali, ma da una presa di coscienza documentata e circostanziata. Uno sforzo, questo che, purtroppo ben pochi sanno fare quando è più comodo e gratificante poter attribuire sempre agli altri quello che di male siamo stati o siamo capaci anche noi stessi. Consiglierei, pertanto, magari una veloce lettura, la quale potrebbe contribuire a delineare meglio i diversi aspetti della problematica legata al Giorno del ricordo, di testi che aiutino una più seria informazione.

Non guasterebbe dare un’occhiata, ad esempio, al «Vademecum per il Giorno del ricordo» pubblicato dall’Istituto regionale per la storia della Resistenza. Forse non ne sarà esauriente la lettura, tuttavia potrebbe aiutare a disporre in maniera più pertinente le pedine sulla scacchiera di quel periodo.

Nel momento in cui scrivo non so se il presidente Mattarella terrà un discorsomercoledì, 10 febbraio, ma mi rincrescerebbe se dovesse tornare sulleparole pronunciate lo scorso anno, specie dopo aver offerto, il 13 luglio 2020, al mondo intero l’edificante mano nella mano col presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, dopo l’omaggio alle vittime delle foibe e insieme il compiantoper quattro giovani martiri sloveni fucilati nel 1930 dal regime fascista. Questo gesto è stato un sostanziale passo avanti sul difficile percorso di una sincera, valida, duratura pace tra cittadini italiani di appartenenza etnica, linguistica e culturale diversa come gli sloveni. Qui ho visto il vero spirito di fratellanza espresso con un eclatante gesto simbolico che contraddiceva o mitigava – almeno così interpreto i fatti – le parole pronunciate al Quirinale il 9 febbraio 2019: «Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni». Non è certo mia intenzione quella di escludere l’«odio intollerabile», ma, per quanto riguarda le sue cause, ci sarebbe qualcosa da ridire riguardo all’esclusione categorica dei «torti del fascismo». Anche sulle specifiche attribuite all’odio «ideologico, etnico e sociale» e agli storici, definiti «negazionisti e riduzionisti», ci sarebbe da riflettere, magari riprendendo in mano testi come «I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943)» di Carlo Spartaco Capogreco, «Foibe. Una storia d’Italia» di Jože Pirjevec o magari anche «L’identità cancellata» di Paolo Parovel che pubblica una circostanziata documentazione dei primi 5300 decreti di italianizzazione forzata di cognomi sloveni.

«Secondo una stima prudenziale complessiva – cito Parovel –, il numero di abitanti dei territori adriatici annessi all’Italia a seguito della prima guerra mondiale i quali subirono l’italianizzazione forzata del cognome raggiunge e probabilmente supera le 500.000 unità» (pag. 28). Sembra cosa da poco non solo per un individuo ma per tutto un popolo dall’oggi al domani svegliarsi Gerzabek e andare a letto Calligaris? Coceancig/Kočeančič e doversi riconoscere come Coceani? Stroinz e sottoscriversi come sig. Sereni? No, no, tutto ciò – che poi è solo una parte millesimale delle speciali cure fasciste per le popolazioni sottomesse – non ha niente a che fare coi «torti del fascismo». O forse, sì!

Riccardo Ruttar

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