Trinko: senza predicazione slovena la gente è priva di nutrimento spirituale

 
 
La proibizione dello sloveno nelle chiese delle Valli del Natisone e la scuola durante il Ventennio fascista nel territorio sloveno venuto a far parte del Regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale, sono stati i temi della settima serata dei Beneški kulturni dnevi che il 25 febbraio scorso ha ancora una volta richiamato nella sala consiliare di San Pietro al Natisone un folto pubblico a testimonianza che gli argomenti e la formula adottata dall’Istituto per la cultura slovena per la serie di incontri sulla storia locale si è rivelata indovinata.
Ad affrontare il tema della proibizione è stato il prof. Faustino Nazzi, autore di due volumi fondamentali sulla Benecia in epoca fascista: Il duce lo vuole (Coop. Lipa, S. Pietro al Natisone 1995) e Chiesa e fascismo nella Slavia friulana (Glesie furlane, Villanova di San Daniele 2004), mentre un documentario di Jadran Sterle ha dimostrato plasticamente l’imposizione dell’italiano nelle terre slovene «redente» attraverso una scuola di stampo colonizzatore.
Nel suo intervento Nazzi ha basato le sue argomentazioni sui documenti e sugli scambi epistolari tra gli attori della triste e tragica vicenda dell’imposizione dell’italiano nelle chiese: il clero sloveno, con in testa mons. Ivan Trinko, l’arcivescovo di Udine, mons. Giuseppe Nogara, il Vaticano, le autorità fasciste.
Il diktat di Mussolini venne annunciato e preceduto da interventi sempre più pesanti dell’autorità civile nella vita della Chiesa locale e dai contrasti tra i sacerdoti sloveni e la curia udinese.
Uno dei segni premonitori dei futuri drammatici avvenimenti fu la polemica sulla gestione del santuario di Castelmonte nell’immediato dopoguerra. Nel 1920 sul giornale in lingua slovena »Goriška straža« apparve un articolo severamente critico sulla gestione del santuario, affidato dall’arcivescovo di udine ai Cappuccini della provincia veneta, e sulla mancata assistenza religiosa in lingua slovena. «I Cappuccini sono venuti — si legge nel giornale —, ma i pellegrini non sono aumentati. Perché si capisce da sé che i Cappuccini conoscevano soltanto la lingua italiana». Nella risposta al giornale sloveno, che fu, a dir poco sgarbata, la Rivista diocesana udinese denunciò una scarsa cura nell’organizzazione dei pellegrinaggi.
I preti della Slavia si sentirono profondamente offesi da tanta volgarità e inviarono all'arcivescovo, mons. Antonio Anastasio Rossi, una protesta collettiva con 34 firme, sottolineando la grave scorrettezza commessa nei loro confronti e chiedendo una ritrattazione ufficiale, rivelarono che «ci siamo sentiti in dovere di ricorrere alla Sacra congregazione concistoriale, affinché con un documento ufficiale provveda in merito», cioè alla salvaguardia dell'uso della lingua parlata nella Slavia.
Il Segretario di stato, card. Gaetano De Lai, comunicò a mons. Rossi il pensiero del papa Benedetto XV sulla questione avanzata dal clero sloveno. «Ora è mente del S. Padre — si legge nel lettera che ha il crisma dell’ufficialità della Segreteria di stato —, e da sua parte devo raccomandare la S. V. di essere largo nell'uso della lingua nelle chiese dei paesi sloveni. È questo il criterio fermamente tenuto dalla Santa Sede ed inculcato in tutti i luoghi di idiomi diversi e misti. La Chiesa non deve servire a propaganda di lingue e di nazionalismi». Dopo aver ricordato il congresso eucaristico foraniale, che si svolse il 24 giugno 1923 con una partecipazione massiccia della gente (8 mila fedeli!) e definito come «il momento più alto che la Benecia abbia vissuto nella sua lunghissima storia», Nazzi si è soffermato sulle «ultime avvisaglie» che precedettero la proibizione di Mussolini e cioè la lettera nella quale il prefetto di Udine, Riccardo Motta, chiedeva all’arcivescovo di Udine, mons. Giuseppe Nogara, «d'impartire disposizioni» perché nelle Valli del Natisone «sia usata dai sacerdoti la lingua italiana sia nell'insegnamento del catechismo che nelle prediche».
Mons. Trinko, vigile custode della sua Slavia, venne a conoscenza «dell'incredibile invito» fatto dal prefetto e scrisse a mons. Nogara: «L'iniziativa non può che aver origine locale e ha carattere più di anticlericalismo che altro, se pure non si tratta di una malvagia intemperanza di nazionalismo. Se la proposta fosse attuata verrebbe dato un colpo mortale alla forte religiosità della nostra gente, la quale avrà i suoi difetti, ma in quanto a fede può servire da modello… Qui si andrebbe contro la disposizione del Diritto canonico, che vuole che i fedeli siano istruiti nella lingua che è loro più familiare e che quindi meglio conoscono».
La proibizione formale avviene nell’agosto del 1933. Il 7 agosto il prefetto Temistocle Testa, comunicò a mons. Nogara la seguente disposizione del governo: «S. E. il Capo del Governo (Benito Mussolini, ndr), desidera che V. E. proceda energicamente nei riguardi dei sacerdoti che ancora si mostrino non sufficientemente compresi dei loro doveri verso la Nazione e verso il Regime e che non sia permessa la ristampa del catechismo sloveno, e che anzi, se detto catechismo è in circolazione, sia sequestrato».
L’ukaze gettò nello sconforto i sacerdoti sloveni che protestarono con l’arcivescovo. Don Giuseppe Cramaro di Antro e don Natale Zufferli si recarono a Roma e inoltrarono una missiva al papa stesso. Mons. Nogara, pressato dal prefetto e ossessionato dal silenzio di Roma, decise che «in attesa di quanto disporrà la Santa Sede, alla quale si sono chieste istruzioni, disponiamo che intanto si usi la lingua italiana e si faccia seguire un riassunto esplicativo nel dialetto locale». In pratica l’arcivescovo dispose proprio quello che voleva il Duce.
In questa stato di completo disorientamento e di smarrimento dei princìpi, che regolano la vita all’interno della Chiesa e dei rapporti tra essa e lo Stato, si erge la figura di mons. Ivan Trinko al quale i sacerdoti sloveni si rivolgono per trovare consigli e conforto.
Il 6 novembre 1933, scrise a mons. Nogara: «I nostri sacerdoti sloveni, ancora terrorizzati dalla poco benemerita, non avendo il coraggio né di presentarsi, né di scrivere all'E. V. per paura di ulteriori vessazioni, mi pregano d'intervenire presso di Lei, perché solleciti una soluzione favorevole alla grave questione della predicazione ed istruzione della nostra chiesa. Pensi, Ecc.za, che se viene impedita la predicazione slovena, la grandissima parte della presente popolazione resterà priva per tutta la vita di nutrimento spirituale e la gravissima responsabilità di ciò cadrà non soltanto su chi ha provocato od incoraggiato ed approvato l'iniqua campagna contro la Slavia religiosa, ma anche su chi non ha saputo tener duro davanti all'Autorità civile, che così sfacciatamente continua a soppiantare la religione nelle nostre chiese. … ƒ necessaria la resistenza assoluta, come si fece in altre Diocesi. Per una volta, Ecc.za, creda pure anche a me e non lasci in abbandono ai lupi una parte non disprezzabile del suo gregge. C'è chi dice che noi preti sloveni facciamo nazionalismo. ƒ la solita favola del lupo e dell'agnello. Non è nazionalista chi difende la propria nazionalità, specialmente se la difende per ragioni religiose, ma lo è chi ingiustamente aggredisce l'altrui!».

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