Rožinca, tuo je guod Marije v nebo vzete, je te narbuj velik praznik v beneškim polietju. V puno vaseh se je obvarvala navada žegna rož in trau, ki jih ljudje naberejo po puoju in zvežejo v pušjace.
Glavni senjam je par Mariji Devici v Dreki, kjer se puno ljudi zbere par pieti sveti maši, ki začene z žegnan rož in se zapre s precesijo s kipam Device Marije okuole cierkve. Lepuo je, de za tele senjam spoštujejo stare navade in je parsotna slovenska besieda.
Takole je Manuela Cicigoi napisala pred lieti v Domu: Tel praznik ‘ma koranine tu našim serc odkar, per majhinim, smo se ga dugo troštal’ za kolače, za gubanco, za trosit rožce pred Marijo tu precesiji. An garjupaste uonjave snopicjou so nam ostale per serc’, vier’ al’ na vier’ tu žegin, k’ jim dà muoč pruot sovražnikom narave. Slovesnost Svete Maše, oufer oku utarja, usi naši mašniki v precesiji pred podobo Device Marije an zbor, navadne piesmi an molitve, tonkanje goz turma, use tuole nam pride tu glavo, če samuo čujemo besiedo Rožinca. Pa tud perprava gubanc, južna za uso žlahto, ramonike, k’ se čujejo od deleča an brezskerbni ples do noči.
Vsako lieto kultuno društvo Kobilja glava okuole Rožince spledè bogat program iniciativ.
Začeli so s konferencami. V četartak, 25. luja, je na Solarjeh Anja Poštrak guorila na temo Dreka in Bohinj v Volčanski fari. V četrtak 1. vošta, ob 20. uri na Briegu, bo Erica Balus guorila na temo Nove, stare zeja.
V torak, 6. vošta, bojo v Lazeh skuhali stare jedila. Pred vičerjo, ob 18.30 bo Beneško gledališče pokazalo komedijo Glavna vaja. Beneško gledališče bo spet na varsti v petak, 9. vošta, sa’ bo ob 20.30 v Dolenji Dreki pokazalo komedijo Zdrev bunik.
V sriedo, 14. vošta, bo program na Solarjeh. Ob 15. bo parprava snopi-čju za Rožinco, ob 18. bo pašta za vse, natuo premiacjon konkorša Dreške ojceta.
Sevieda bo varh polietja Rožinca par farni cierkvi Device Marije. Ob 10. bo sejmič, ob 11. slovesna sveta maša z žegnan rož in precesijo, ob 13. (na Razpotju) dreško kosilo. (U. D.)
Dalla strada si vede appena un pugno di case. Spuntare dal nulla. I loro tetti fanno capolino, tra gli alberi, uno alla volta. E poi lo scorgi tutto, Obenetto/Dubenije. Nel comune di Drenchia/Dreka. Valli del Natisone/Nediške doline. Qui non ci abita quasi più nessuno. Eppure, nello slargo ai piedi dell’abitato, ci sono tante auto posteggiate. Perché è estate e gli emigranti tornano nella loro terra. Nel loro luogo del cuore. Anche se hanno trascorso la loro vita all’estero, o in un’altra regione dell’Italia, il loro pensiero va ogni momento al paese dove sono nati. Seppure piccolo, sperduto. Lontano da tutto e tutti. Quello è il luogo dell’anima. Una casa, quella dei nonni, o dei genitori, rimessa a posto. Non troppo, in verità. Quanto basta per trascorrerci l’estate. Qualche settimana. Anche solo una fine settimana.
Per questo Obenetto/Dubenije, che una volta era il paese più popoloso del comune di Drenchia/ Dreka, appare ancora oggi come un dipinto uscito da un quadro del secolo scorso. Viuzze strette, lastricate, gradinate, che collegano le abitazioni in un labirinto di sali e scendi capace di regalare scorci di straordinaria suggestione sulle montagne.
«Partivamo da qui, per andare a scuola a San Volfango – racconta Licia –. Nevicava sempre in inverno. La facevamo tutta a piedi, in salita. Era una festa, quando finivamo le lezioni: mettevamo la cartella sotto il sedere e la usavamo come uno slittino: si scendeva in paese così. Peccato che poi i quaderni si bagnavano e le sentivamo dai nostri genitori. Mamma mia quante ne ho prese, per quello. Ma il gioco dello slittino era così divertente che piuttosto ci prendevamo le botte. E lo rifacevamo ogni volta».
Licia, che vive da tanto tempo a Udine/Viden, è nata a Obenetto. La incontriamo una domenica di luglio che sta per piovere. Con una sua amica, un’emigrante di Drenchia che vive da decenni a Motta Visconti, vicino a Milano, si gode il paesaggio sul terrazzo. «Ci racconta la storia di questo paese?». «Sì, certo». Ospitali, gli abitanti di Obenetto. Così come quelli di tutte le Valli del Natisone, pronti a regalarti la magia di queste terre meravigliose, e i loro ricordi di quando erano bambini. «Eravamo in quasi 300, qui. Lavoravano tutti; le famiglie erano numerose. Tanti figli. La nostra infanzia è stata di gioia. Non ci mancava nulla». Poi? Poi se ne sono andati tutti. «Sono emigrati. Però, dopo tanti anni, adesso ci rincontriamo, a Obenetto, d’estate. Facciamo festa. Delle belle grigliate. Arriva tanta gente anche da fuori. Questi paesini affascinano».
E come non restare incantati da Obenetto? Piccole finestre che si aprono in possenti muri di pietra, porte minuscole, in angoli nascosti. La grande fontana lavatoio, con l’affresco della mucca e la scritta che avvisa di non lavarci i panni, dentro; pena la multa. Un dipinto che sta sbiadendo, anno dopo anno. Che racconta di una comunità legata alla terra, all’agricoltura, all’allevamento delle vacche. «Le vede quella e quella casa? Erano stalle. Tutti avevano le mucche. Sembra impossibile a pensarci oggi. Ma dove riuscivano a tenere le bestie? Eppure ce la facevano, eccome, i nostri nonni e bisnonni. Era l’arte di arrangiarsi». Ecco il perché di quelle aperture così piccole, nella parte più bassa delle case. Oggi le finestrelle e le porticine sono tutte chiuse. Vicino ci sono solo i vasi delle ortensie, i gerani, le edere che si arrampicano sui muri. Giriamo tra minuscole piazze, sotto le pergole, tra belvedere sulle montagne, tra orti spericolati in piena pendenza.
«Qui parliamo sloveno – dice Licia –. Pensi che ci sono ancora persone che dicono che dovremmo usare solo l’italiano. Quando abbiamo il confine a due passi. E i nostri avi l’hanno sempre parlata, questa lingua. Sono retaggi del passato. Adesso bisogna guardare avanti». Ci lasciamo con un arrivederci. «Ci vediamo alla Rožinca, alla festa dell’Assunta». (Paola Treppo)