Quando non si poté più tacere la «slovenità»_ Ko niso mogli več zamolčati, da smo Slovenci

Credo che non solo per me sia abituale aprireparentesi di ricordi, di emozioni, di confronti di tempi passati col presente che stiamo esperimentando, di valutare l’evoluzione o l’involuzione di determinati fenomeni sociali. Non mancano spunti con tanto materiale raccolto nelle memorie dei computer, nei libri, nel materiale cartaceo racimolato negli anni. La storia remota delle Valli del Natisone, Slavia, Benecia, comunque la si chiami, è stataabbondantemente ricostruita, diversamente interpretata, sebbene pochissimo conosc

Območje, na katerem je prisotnost slovenske manjšine uradno priznana /L’area in cui la presenza della minoranza slovena è ufficialmente riconosciuta (Slori)

dagli stessi protagonisti che l’hanno vissuta. Forse ancora meno compendiata quella degli ultimi decenni e, comunque, tutta da scrivere.

Il problema di fondo è sempre stato quello di un popolo di lingua, cultura, tradizioni, esperienze proprie, diverse. Di un popolo fortemente minoritario rispetto a quello dominante: qualche migliaio di sloveni al confine di Stato a confronto con 60 milioni di italiani. Un popolo cui è stato negato per quasi un secolo e mezzo il diritto di essere se stesso, sottoposto ad una pressione snazionalizzante che ha messo in forte crisi il proprio senso di appartenenza, di identità. Tuttavia ci sono stati elementi di resistenza, tali che, alla fine, hanno ottenuto almeno in parte il frutto del loro impegno.

Difficile raccontarlo, ma il fatto che a ben 135 anni dall’annessione della Slavia al Regno d’Italia, sia stata varata la legge che tutela la minoranza linguistica degli sloveni in Italia (l. 38/2001) indica quale via crucis sia stata percorsa. C’è voluto del tempo affinché venisse messo in atto, anche se in modo raffazzonato,l’articolo 6 della Costituzione repubblicana dopo la nefasta storia del Regno e del fascismo. Qualcosa ne so personalmente; avevo un anno quando l’Italia divenne repubblica e, da sloveno, ho percorso buona parte del cammino fino a quel fatidico 2001, senza poi guardare passivamente gli anni che stiamo vivendo.

Difficile, difficilissimo è stato il percorso di maturazione delle autorità politiche ed amministrative del territorio riconosciuto come sloveno, per arrivare al riconoscimento anche solo parziale e titubante delle caratteristiche specifiche linguistiche e culturali dei nostri comuni. Credo che pochi ricordino uno dei primi passi di questa maturazione nel senso di recupero di identità linguistica e culturale del tessuto sociale amministrato.

Ho tra le mani un numero del periodico che il Circolo culturale Studenci – Sorgenti ha pubblicato, nel lontano 1995, in cui si riportano dei documenti interessanti. In quell’anno la Prefettura di Udine inviò a una ventina di Comuni una nota in cui chiedeva di illustrare in modo articolato e compiuto, oltre che le problematiche riguardanti la minoranza linguistica, il complesso dei problemi sociali ed economici delle loro comunità. Le risposte furono puntuali e articolate. Da quasi tutti furono enucleati i principali problemi che costringevano la Slavia alla marginalità e al sottosviluppo nel confronto con la ben diversa realtà regionale. Il periodico riporta integralmente le risposte dei sette Comuni valligiani. Ognuna delle nostre sette entità amministrative ha dato le risposte che riteneva, ha cercato di dare l’immagine del proprio ambito, evidenziando le criticità, tanto che, rileggendo il tutto, se ne può trarre un quadro abbastanza ben definito nella sua, direi, accorata speranza di un qualche riscontro positivo alla situazione in costante degrado complessivo, specie in campo demografico.

Non voglio certo rappresentarlo, il quadro, ma è interessante rilevare che, sebbene con circospezione, tutte le amministrazioni hanno messo in luce, ciò che peraltro era evidente, ma che rimaneva per molti un tabù: la «slovenità» culturale del comprensorio. Slovenità legata alle peculiari lingua e cultura, alle specifiche tradizioni, al retaggio dei padri… ma, comunque, una slovenità da ben intendere, enfatizzata nella differenziazione sia dagli altri sloveni della Regione, sia dagli sloveniconfinanti. Non più, quindi, il termine «slavi». Si afferma il termine «sloveno», ma «diverso» da… Non che il termine sia ancora accettato tranquillamente, infatti mantiene ancora l’equivocità in relazione al significato di appartenenza, di identificazione, di «nazionalità». Sloveno, sì ma della Slavia, da non confondersi in alcun modo con la Slovenia. In ciò c’era forse la consapevolezza che mentirespudoratamente la propria etnicità minoritaria sarebbe stato controproducente, avendo tutti la responsabilità e compito di salvaguardare la sopravvivenza sul territorio di una comunitàridotta ai limiti estremi della dissoluzione. Di certo si trattava di un grido disperato, privo di pretese o di minacce, dove le affermazionirelative all’identità etnolinguistica, tranne qualche felice eccezione, più che esorare in termini di diritti sanciti dalla Costituzione, sono enunciate come un handicap storico di cui si sente il peso.

Forse mi sbaglio, ma credo che in fondo questa presa di responsabilità abbia contribuito alla lotta spasmodica delle componenti attive della minoranza slovena per giungere finalmente alla legge dello Stato che con estrema parsimonia ha elaborato ed approvato la legge di tutela. Oggi sono stati fatti tanti passi avanti nel recupero dell’identità storica; nella consapevolezza che la propria diversità minoritaria non è un disvalore; che qualche diritto è sacrosanto; che accapigliarsi sulla questione linguistica è dissennato; che (forse) sarebbe il caso di superare i campanilismi e mettersi tutti insieme per perseguire finalità comuni e condivise. E poi, la Slovenia non è più il babau titino. Anzi!

Riccardo Ruttar

 

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