Quando la Slavia divenne italiana e gli sloveni conobbero il risorgimento

 
 
l Ilaria Banchig
Lo scorso 4 febbraio a San Pietro al Natisone si è tenuta la sesta lezione dei Beneški kulturni dnevi, le Giornate culturali della Benecia sulla storia locale, organizzate dall’Istituto per la cultura slovena. Sul risorgimento italiano, le sue implicanze nelle Valli del Natisone e i suoi riflessi nella Slovenia, compresa allora nell’Impero asburgico, sono intervenuti lo storico friulano Elpidio Ellero e Branko Marušič dell'Accademia slovena delle scienze e delle arti. Tra il numeroso pubblico era presente anche il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, che nel suo saluto ha sottolineato l'importanza della conoscenza storica, dalla quale emergono i numerosi punti di contatto e vicinanza tra i popoli, cosa necessaria soprattutto in una regione variegata come il Friuli – Venezia Giulia.
Elpidio Ellero, storico friulano che, tra l’altro, con un volume pubblicato nel 1980 ha riscoperto la figura di don Eugenio Blanchini (Biacis di Pulfero 1863 – Udine 1921), ha analizzato la Slavia friulana dal punto di vista socioeconomico, dalla sua annessione all'Italia nel 1866 alla vigilia della prima Guerra mondiale. Nei primi anni di governo italiano, La Slavia e tutto il Friuli furono costretti a fare i conti con la pesante eredità lasciata loro dal governo austriaco. L'85 per cento della popolazione viveva di agricoltura, solo un'esigua percentuale era impiegata nei settori secondario e terziario. L'agricoltura nelle Valli del Natisone era gestita soprattutto da piccoli proprietari terrieri che, pertanto, non dovettero fare i conti con la divisione in classi sociali molto diffusa nelle campagne friulane, dove mezzadri e salariati agricoli (i sotàns) vivevano in estrema povertà. Anche le condizioni sanitarie della popolazione della Slavia erano migliori e, grazie ad un'alimentazione varia, non era diffusa la pellagra (causata dalla mancanza di vitamina B), malattia che in quel periodo stava decimando la popolazione in Friuli e in tutta l'Italia.
Nel trentennio compreso tra il 1881 e il 1914, ha ricordato Ellero, il Friuli fu ulteriormente penalizzato da una forte emigrazione che coinvolse oltre centomila persone, perlopiù di sesso maschile. Le mogli e i figli degli emigranti erano spesso costretti a sostituirli nel lavoro dei campi, con una retribuzione di molto inferiore alla loro, peraltro già misera. Il fenomeno dell'emigrazione, invece, toccò la Slavia solo parzialmente. A risentirne più degli altri fu il comune di Grimacco.
Sulla classe contadina gravavano numerose tasse: sul sale, sul macinato, sullo zucchero, sul caffè, cui la maggior parte delle gente non riusciva a far fronte. È in questo contesto che nacquero cooperative e associazioni contadine, quali le casse rurali, le latterie sociali e le assicurazioni sul bestiame, che però coinvolsero solo in minima parte le valli del Natisone. Pur di fronte ai numerosi punti di forza della sua agricoltura la Slavia non riuscì mai a fare il salto di qualità, a causa di fattori quali l'atomizzazione delle proprietà agricole, la precaria viabilità, nonché l'individualismo degli abitanti. Dal punto di vista zootecnico, ad esempio, non ci furono né un'adeguata selezione delle razze bovine, né uno sfruttamento adeguato delle risorse foraggere. Per quanto riguarda la frutticoltura, nonostante ci fosse una grande produzione di mele, susine e castagne, non si riuscì mai a creare un mercato ed una “esportazione” organizzata, probabilmente anche a causa dell'assenza di iniziative sociali.
Eppure dalle Valli del Natisone provenivano personalità di punta nel contesto regionale. Ellero ha ricordato il ruolo che ebbe mons. Ivan Trinko in ambito culturale, don Eugenio Blanchini e don Luigi Faidutti in ambito sociale. Sia Blanchini che Faidutti operarono, però, lontani dai paesi d’origine, il primo a Gorizia il secondo a Udine, e non riuscirono a coinvolgerli nelle loro iniziative.
Lo storico sloveno Branko Marušič ha parlato, invece, dell'eco che le idee del risorgimento italiano ebbero tra gli sloveni nell’Impero asburgico. Italiani e sloveni vissero per secoli a stretto contatto, ma i loro rapporti si rafforzarono verso la fine del XIX secolo, quando ormai l'idea di stato nazionale si era diffusa in tutta Europa. Dal momento che, secondo questi principi, il territorio dello “stato” doveva corrispondere a quello abitato della “nazione”, nell’area di contatto tra italiani e sloveni divenne pressante la problematica dei confini. Sebbene Mazzini, inizialmente, avesse posto il confine tra italiani e “slavi”, come venivano ancora definiti, all'Isonzo, negli anni Settanta, accogliendo le idee del conte di Cavour, espresse l’auspicio che il confine potesse arrivare sulle Alpi Giulie, andando fino a Postumia e al Quarnero.
Gli sloveni conoscevano bene le idee del risorgimento italiano, dal momento che tra di loro circolavano numerose riviste austriache e italiane. Molti, inoltre, si recavano in Italia per attività legate al commercio, oppure per frequentare le università. Infine, tra le file dell'esercito austro – ungarico, durante le guerre di indipendenza italiane, c'erano numerosi sloveni. Tra gli sloveni, in seguito all'annessione della Slavia friulana nel 1866 e alla repressione linguistica avvenuta in quest'area, si diffuse la paura che le mire espansionistiche italiane verso est potessero minare la loro identità. I partiti politici sloveni valutavano in modo diverso il risorgimento italiano: i conservatori erano molto critici, mentre i liberali vedevano in personalità come Mazzini e Garibaldi degli eroi nazionali. Il risorgimento italiano, infatti, aveva come caposaldo della sua azione l'opposizione al potere straniero, principio ripreso anche dagli sloveni che cercavano quel simbolico Piemonte che avrebbe rialzato le sorti del loro popolo.
Con la crisi dei Balcani, tra il 1877 e il 1878, nacque un forte movimento irredentista a Trieste e nelle aree dell’Impero abitate da italiani. L'Italia, da parte sua, sperava di poter risolvere con il maggior vantaggio possibile la problematica dei confini verso est. Questo atteggiamento fece sorgere, soprattutto negli sloveni del Litorale, una forte diffidenza e avversione nei confronti del risorgimento italiano e si arrivò addirittura a manifestazioni di patriottismo austriaco. In questo modo il risorgimento italiano spense l’entusiasmo suscitato in territorio sloveno, anzi la questione del Litorale non fece altro che accrescere la rivalità tra i due popoli. Dopo il primo conflitto mondiale, la stampa slovena notò che Mazzini nel suo scritto “Doveri dell'uomo”, parlando dei confini orientali italiani, aveva affermato che essi non avrebbero dovuto spingersi oltre l'Isonzo. Nonostante il forte contrasto con l'Italia, Mazzini, paradossalmente, fu visto dagli sloveni come loro difensore nazionale.

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