La forza irresitibile delle migrazioni dei popoli

 
 
Le migrazioni dei popoli sono una costante nella storia dell’umanità e, ieri come oggi, tutti i provvedimenti messi in atto per impedirle non hanno avuto l’effetto desiderato, o hanno contribuito solo a ritardarle o a ‘selezionarne’ i flussi. Il mare, le montagne i confini e le leggi non hanno ostacolato il cammino di popoli interi o parte di essi che, costretti da guerre, carestie, invasioni, dal sopravanzare di altre genti o semplicemente per migliorare le proprie condizioni di vita, hanno abbandonato la terra dei loro padri ed hanno spinto lo sguardo verso nuove lande dove impiantare le tende, costruire villaggi e città. Il Friuli è un esempio vivente della permanenza sul suo territorio di genti, le più diverse, venute dal Nord e dall’Est ognuna delle quali ha lasciato testimonianze del proprio passaggio che sono ancora leggibili nelle lingue, nelle culture, nell’arte, nelle usanze di questo territorio posto tra le Alpi e l’Adriatico, in uno degli snodi cruciali della civiltà europea.
Altrettanto, anche se non con la stessa intensità, è successo in altre regioni italiane, in particolare lungo l’Adriatico e lo Jonio. Ne hanno avuto testimonianza i rappresentanti delle organizzazioni slovene della provincia di Udine che di recente hanno compiuto un viaggio nelle realtà minoritarie croata del Molise, albanese e grika della Puglia, che hanno attraversato il mare per cause e in tempi diversi, mantenendo lungo i secoli la loro identità culturale e la loro lingua.
La visita è iniziata a Montemitro/Mundimitar in provincia di Campobasso, un paese arroccato sul preappennino a 508 m.s.l.m, che conta 469 abitanti (il massimo della popolazione si è registrato nel 1911 con 1.017 abitanti). Assieme ad Acquaviva Collecroce/Kruč e San Felice/Filič costituisce quanto resta del territorio in passato molto più ampio abitato dalla comunità croata. La presenza dei croati nell’Italia centrale e meridionale è documentata in varie epoche a partire dai tempi delle migrazioni dei popoli (sec. V-VIII), ma il maggiore flusso si ebbe durante la conquista e l’assestamento dell’impero turco nei Balcani (secc. XV-XVI). La presenza slava sulla costa e all’interno di Marche, Abruzzo, Molise e Puglia fu molto forte e diede vita, oltre che a insediamenti nelle città e nelle campagne, a significative iniziative culturali ed assistenziali quali la Fraternitas Sclavorum sancti Petri martiris di Recanati (An), che compare nel 1375 e dura fino alla fine del XVI secolo; l’Universitas Sclavorum di Ancona, ricordata nel 1439, e quelle di Giovinazzo in provincia di Bari e di Trani ricordate intorno alla seconda metà del XVI secolo; e ancora il Collegium Illyricum o Collegio degli Schiavoni di Loreto, fondato verso il 1580 e trasferito a Roma nel 1593; e infine la Fraternitas Sancti Hieronimi Illyricorum a Lanciano (Ch).
Se delle colonie croate nelle Marche (c’è chi sostiene che Sisto V, nativo di Grottammare, papa dal 1585 al 1590, parlasse il croato) non c’è traccia, in Abruzzo e Puglie è rimasta testimonianza nella toponomastica, onomastica e in numerosi documenti d’archivio, quelle molisane hanno conservato fino ai giorni nostri il «favellare schiavone». Secondo Milan Rešetar (Die serbokroatischen Kolonien SŸditaliens, Vienna 1911) i croati del Molise sono discendenti di fuggiaschi che dalla metà del XV fino all’inizio del secolo successivo partivano da diversi punti della costa dalmata verso l’Italia. Essi parlano il dialetto štokavo-ikavo della regione della Neretva, identico a quello usato in quell’area prima della loro migrazione.
Anche l’insediamento degli albanesi o arberesh nel paese di San Marzano di San Giuseppe in provincia di Taranto fu compiuto in un lungo arco di tempo che culminò nel 1530 quando Demetrio Capuzzimati acquistò dal Regno di Napoli il vecchio feudo di San Marzano ed ottenne da Carlo V ampia potestà ed autorità a far ripopolare quella terra disabitata. Da quel momento si delinea chiaramente il processo insediativo albanese con costumi, lingua e rito bizantino-greco che per secoli saranno gli elementi costitutivi di questa colonia. Ma San Marzano di San Giuseppe è appena un residuo della vasta Albania o Arberia Salentina, che in passato comprendeva oltre venti comuni. L’origine di queste comunità va fatta risalire alla cosiddetta «terza migrazione» risalente agli anni 1461-1470, quando il grande condottiero albanese Giorgio Castriota Scanderberg inviò un corpo di spedizione di circa 5.000 albanesi guidati dal nipote Coiro Stresio in aiuto a Ferrante I d'Aragona nella lotta contro Giovanni d'Angiò. Per i servizi resi, furono concessi al principe Scanderberg diritti feudali su Monte Gargano, San Giovanni Rotondo e Trani e fu concesso ai soldati e alle loro famiglie di stanziarsi in ulteriori territori. In tali possessi, tra il 1463 e il 1470, sarebbero sorte le comunità albanesi.
Le popolazioni albanesi conservarono pacificamente la loro lingua grazie anche al rito bizantino greco che fu praticato fino all’inizio del XVII secolo, quando al termine di un lungo conflitto, dovette cedere il passo al rito latino e la chiesa dedicata a santa Venere, tipica santa orientale, venne intitolata a san Carlo Borromeo, vescovo lombardo della controriforma cattolica, il quale, secondo la tradizione, vendette i beni che la sua famiglia possedeve in queste contrade e il ricavato lo diede ai poveri di San Marzano.
La comunità grika del Salento, presente oggi in nove comuni, ha dietro di sé una storia antichissima che trae origini dalla Magna Grecia preromana e prosegue quasi ininterrottamente fino ai nostri giorni. E, come afferma André Guillou (L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Milano 1962), fu il monachesimo basiliano a costituire «l’elemento di unità e di continuità della vita greca nell’Italia del sud dal VII al XIII secolo». I monaci orientali arrivarono nell’Italia meridionale in seguito alle lotte iconoclaste del secolo VIII e alle conquiste arabe prima di alcune regioni mediorientali (VII secolo) e poi della Sicilia e della Calabria nei secoli IX e X. Tra i secoli VIII e XI «nelle regioni soggette all’Impero Bizantino, e in particolare nel Salento ci fu una massiccia immigrazione da tutte le regioni dell’Impero d’Oriente non solo per motivi militari, ma anche per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste o alle incursioni arabe, o in cerca di terre da coltivare al fine di migliorare le loro condizioni economiche» (Rocco Aprile, Grecìa Salentina. Origini e storia. Calimera, 2» ed. 2001, p. 41). Tuttavia, precisa R. Aprile, «l’immigrazione di monaci, sacerdoti, militari, funzionari e coloni isolati non basta a spiegare l’esistenza, in territorio salentino, di un numero cospicuo di paesi, abitati esclusivamente da greci. Dobbiamo supporre allora che […] ci siano state anche cospicue immigrazioni di migliaia di persone, venute da diverse zone della Grecia col compito di ripopolare zone rimaste fin dall’antichità prive di abitanti» (pp. 41-42).

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