Il plebiscito non dava la possibilità di optare per uno stato o l’altro

 
 
L’Italia aveva bisogno del plebiscito in Veneto per ragioni di politica interna ed estera, sostiene Jaroslav Beran nella sua documentata dissertazione sul plebiscito e la definizione dei confini nel Veneto al termine della terza guerra d’indipendenza, pubblicato in Zahodno sosestvo (Ljubljana 1996, pp. 105 — 119).
Ed essa stessa lo prescrisse con i regi decreti n. 3236 del 7 ottobre 1866 e n. 3252 del 13 ottobre 1866, che però contengono solamente le norme indispensabili per lo svolgimento della consultazione popolare. Tra di esse ricordiamo che nel testo degli articoli 5 e 10 si presuppone che tutti gli aventi diritto al voto siano “italiani”, ovvero cittadini del Regno d’Italia, dei quali però non esisteva alcun elenco ufficiale. Il primo articolo riporta il testo sul quale i cittadini dovevano esprimere il voto e non era ammessa nessun’altra formulazione: «Dichiariamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il governo monarchico costituzionale del re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori». Il voto si esprimeva affermativamente o negativamente e in modo globale con un foglio su cui era stampato o scritto a mano il testo.
Il risultato del plebiscito confermò la tesi italiana e cioè che il fondamento della nuova acquisizione territoriale era la volontà degli abitanti di quella regione. Con il regio decreto n. 3300 del 4 novembre 1865, che solamente due anni più tardi ottenne valore giuridico con l’approvazione in parlamento della legge n. 3841 del 18 luglio 1867, si dichiara che «le province del Veneto e la provincia di Mantova» sono diventate parte integrante del Regno d’Italia. Come si può notare, nella legislazione italiana si è cominciato immediatamente a usare il nome della regione Veneto al posto di «Regno lombardo – veneto».
Dopo che la maggior parte dell’armata austriaca aveva lasciato il Veneto e si era trasferita sul fronte settentrionale, dal 7 luglio 1866 l’esercito italiano cominciò ad impadronirsi della regione. Nel territorio occupato le autorità italiane cominciarono subito ad organizzare gli organi del governo, che esercitavano le proprie funzioni in nome del re d’Italia, e a mutarli secondo il proprio sistema. La vasta legislazione che interessò il Veneto cominciò con il regio decreto n. 3064 del 18 luglio 1866, che trattava dei «commissari Regii investiti di poteri speciali».
Seguirono altre norme preparate e datate in precedenza, come ad esempio il regio decreto n. 3088 del luglio 1866 che imponeva la Costituzione del 4 marzo 1848; il decreto n. 3128 del 1 agosto 1866 che introduceva le regolamentazioni sulla guardia nazionale con provvedimenti punitivi per coloro che non avessero risposto alla chiamata alle armi. La guardia nazionale, in verità, si era già formata durante la guerra. In base all’art. 18 della Costituzione, con il regio decreto del 4 agosto 1866, venivano introdotte le norme restrittive in materia politico – ecclesiastica, ma ciò non dissuase il clero dal partecipare al plebiscitu.
Non è nostro compito, scrive Beran, illustrare l’introduzione della legislazione italiana nel Veneto, tuttavia dobbiamo sottolineare che, a questo proposito, il legislatore italiano partiva da una posizione più volte e chiaramente espressa e cioè che già durante la guerra l’Italia era stata giustamente e definitivamente padrona del Veneto il quale, in base ai principi del diritto naturale, era una delle sue regioni. L’Italia vi esercitava il suo potere originario, non derivativo.
Per quanto riguarda il precedente governo dell’Austria, gli atti italiani sia nel periodo bellico che in seguito, usano la denominazione «occupazione austriaca» o «dominazione straniera», mentre di un’eventuale sovranità francese intermedia non viene fatta parola da nessuna parte. Nel caso del Veneto il legislatore italiano ignorò consapevolmente i dettami del diritto internazionale, in base al quale, nel caso del Veneto, si trattava di un passaggio del possesso da uno stato all’altro avvenuto con una serie di norme e concluso con un trattato di pace.
Certamente il plebiscito in Veneto nel 1866 è materia di studio da parte della storiografia e della politica italiane, mentre il compito della storiografia slovena è solo di completamento. Essa, però, ha il dovere di spiegare che gli sloveni della Slavia veneta, tutti cittadini italiani già in occasione del plebiscito, non avevano la possibilità di elaborare una concezione politica o programmatica sulla propria autonomia e pertanto neanche avere una posizione propria che avrebbero potuto esprimere con l’astensione o il rifiuto del testo contenuto sulla scheda del plebiscito. Tuttavia con la risposta affermativa al plebiscito non hanno rinnegato la loro lingua o la loro nazionalità. Non hanno nemmeno pensato che ciò comportasse una qualche conseguenza legale e neppure il testo del plebiscito esigeva qualcosa del genere.
In nessun modo, conclude Beran il capitolo sul significato e la portata del plebiscito del 21 e 22 ottobre 1866, fu data agli sloveni della Slavia veneta la possibilità di decidere con il voto a chi, se all’Austria o all’Italia, dovessero appartenere la loro terra e loro stessi.

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