Il motto di Gregorio: pregare contemplando

 
 
Secondo Gregorio Palamas, colui che ha saputo integrare con una magistrale sintesi dottrinale la tradizione secolare del monachesimo della Chiesa d’Oriente, la conoscenza di Dio deriva non dalla filosofia ma dalla preghiera continua.
La preghiera da sola tuttavia non basta: «Ecco perché — scrive Palamas nel suo libro Tre capitoli sulla preghiera —se qualcuno si è applicato alla preghiera ed è stato in qualche modo illuminato, se quel tale si considerasse purificato, si sbaglia ingannando se stesso. Se invece, consapevole della sua impurità di cuore, non si accontenta di questa modesta purificazione, ma ricorre all’aiuto delle altre potenze dell’anima, vede con più chiarezza l’impurità». Ancora a proposito della preghiera il monaco Palamas scrive idealmente a tutti: «Miei fratelli cristiani, vi esorto ancora, non trascurate la pratica della preghiera. Sul principio vi apparirà difficoltosa ma vi assicuro che vi aiuterà a superare gli ostacoli. Per comprendere la possibilità della preghiera incessante, ricordo che il metodo consiste nel pregare con la mente e ciò lo possiamo fare ogni volta che vogliamo. L’uomo esteriore compia pure i suoi compiti, l’uomo interiore sia tutto dedicato al servizio di Dio». Quando preghi entra nella tua cella e, chiusa la porta, prega il Padre che è nel segreto: questa frase, molto usata e ripetuta negli scritti dei Padri del deserto è bene spiegata proprio da chi ne ha raccolto l’eredità spirituale, Gregorio Palamas: «La cella è l’anima del corpo. Le porte sono i cinque sensi. L’anima entra nella cella quando la mente cessa di vagare qua e là, vagabondando in mezzo alle cose del mondo, e si stabilisce nel cuore. I sensi si chiudono quando li teniamo immuni dalle realtà sensibili esterne. Vera e perfetta è quella preghiera che colma l’anima di grazia divina e di doni spirituali. Un balsamo colma con il suo profumo il vaso che sia accuratamente sigillato; altrettanto fa la preghiera, quano più è raccolta nel cuore».
Secondo il monaco del Monte Athos, non esistono tipologie diverse del sapere umano, né campi diversi (scientifico e teologico) a cui questo sapere possa essere indirizzato: per lui esistono solo due modi di ‘conoscere’, quello indirizzato alla vita sociale e quello invece rivolto al conseguimento della vita eterna. La teologia diventa allora visione di Dio, contemplazione delle cose divine: «Dio non solo è al di sopra della conoscenza — dice il teologo nella sua opera Triade — ma lo è anche della non conoscenza». Il Dio in sé, dunque, è inconoscibile, a differenza del Dio che si manifesta con le sue azioni, che può essere invece conosciuto con «gli occhi dello spirito». Secondo Gregorio Palamas ognuno è in grado di migliorare — il verbo che lui usa è in realtà “purificare” — la propria potenza pratica con la prassi — cioè con il retto comportamento —, la propria potenza conoscitiva con la conoscenza — quella cioè che porta a conoscere Dio —, la propria potenza contemplativa con la preghiera, arrivando in tal modo «a quella perfetta, vera e saldissima purezza del cuore e della mente che nessuno potrebbe raggiungere altrimenti».
Pregare contemplando: potrebbe essere questo il motto dell’opera di Gregorio Palamas; pregare allora avrà il duplice significato di avere esperienza di Dio, di conoscere Dio attraverso la partecipazione alla preghiera. Teologia applicata, dunque: «Parlare di Dio — dice ancora il monaco esicasta — non significa incontrare Dio». È una frase molto breve, ma a mio avviso molto adatta alla gran parte dei libri di teologia pubblicati recentemente: la conoscenza di un qualcosa non ne implica infatti l’automatico possesso. Anche perché conoscere Dio, per Palamas, è l’espressione di una pura grazia da parte di Dio stesso e sarà questa grazia a determinare la divinizzazione dell’uomo attraverso Dio: «grazia divina» è una delle espressioni più frequenti che il mistico Palamas usa per indicare l’uomo e «araldo della grazia» è l’espressione che la Chiesa d’Oriente riserva a Palamas nel giorno della sua solennità.
L’uomo, dice Palamas, «è assimilato a Dio ed unito con Dio» perché immagine di Dio. Ma questa immagine non è un qualcosa di aggiuntivo, ma è invece connaturato con la stessa natura umana: l’immagine di Dio nell’uomo è lo stesso uomo. «La grazia della deificazione — scrive ancora Palamas nella sua opera Triade — consente a Dio di abitare nell’essere che ne è degno, unendosi a lui come l’anima si unisce al corpo». Questo stato di grazia porta anche a quella conoscenza sovra-intellettuale, iper-intellettuale che consente di vedere le cose con occhi diversi, quelli dell’anima, e dunque di vedere Dio.
Come ogni mistico della Chiesa d’Oriente, anche Gregorio Palamas cerca di camminare non lungo l’asse orizzontale-storico (fede-ragione), bensì lungo quello verticale-mistico della fede-esprienza, dove con esperienza si intenda lo sperimentare la realtà dell’incontro con Dio.

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