Slatina indica una località con una fonte di acqua minerale
Il toponimo compare per la prima volta nel 1401 e si trova in atti processuali per tutto il XV secolo
Uno degli enigmi che ha appassionato gli studiosi della storia delle Valli del Natisone negli ultimi decenni è stato quello di individuare quale paese, all’inizio del XV secolo, portava il nome di Slatina che per la prima volta compare nel verbale del processo, celebratosi ad Antro il 10 ottobre 1401, contro Alessio e il fratello Giovanni di Tarcetta accusati di aver ucciso Marcuccio, pure lui di Tarcetta, nel corso della festa patronale di Biacis. Di Slatina era, appunto, Pietro uno dei decani della Contrada di Antro che, secondo le antiche consuetudini locali, era stato chiamato, assieme ad altri decani della valle a sedere in giudizio contro gli imputati (Vittorio Marchesi, Sentenza assolutoria in una causa di omicidio, Udine 1897).
Dov’era, dunque, Slatina? O, meglio, dov’è ora Slatina, nell’ipotesi che il paese abbia cambiato nome nel corso dei secoli? Il quesito, doveroso dal punto di vista storico e linguistico, riveste anche un interesse di tipo naturalistico e ambientale imposto dal significato del toponimo.
Bo¡o Zuanella, che per anni ha indagato sulla toponomastica delle Valli del Natisone dove si incrociano nomi di località di origine slovena e latina, ha spiegato che Slatina deriva dallo sloveno «Solt+ina e significa: acqua più o meno salata, acqua acidula o “minerale”. Cfr. il toponimo Rogaœka Slatina in Slovenia e due casali in Val Resia denominati Slatina superiore e inferiore. Il paese di Slatina ha preso, con tutta probabilità, la denominazione da un corso d’acqua o una sorgente di acqua acidula o “minerale” situata nei pressi. Purtroppo, le sorgenti che nell’antichità sono state denominate Slatina o Kislica (= acqua acidula), hanno perso nel corso dei secoli le caratteristiche che allora possedevano ed attualmente le acque sono del tutto normali né si distinguono da quelle di altre sorgenti» (Toponomastica delle Valli del Natisone, «Dom», 14/1984).
Da parte sua Maurizio Puntin, rigoroso autore di numerose pubblicazioni sulla toponomastica friulana, slovena e tedesca del Friuli Venezia Giulia, scrivendo del toponimo Slatina presente nel comune di Prepotto, sostiene che «l’antico toponimo va confrontato con uno simile a Coritis di Resia, Slátina, indicante un tipo di roccia che, frantumata, poteva servire come parziale sostituto del sale. L’appellativo letterario sloveno indica una “fonte di acqua minerale”, ma nello slavo ecclesiastico antico indicava pure “acqua salata, mare”, da una base indicante il sale: cfr. anche sl. *soltina, r. dial. solot˙ “palude”» (Cjanâl di Judri – Iderska dolina. Toponomastica della Valle del Judrio, in stampa). Nello stesso comune di Prepotto Puntin ha trovato il toponimo Slatonicco: «Il nome della località sembra spiegarsi con la base toponimica slovena precedente (Slatina) + la formante -nik. Ritroviamo un toponimo simile, Slatonico, a S. Floriano del Collio nel XIX secolo che risale a Slatina ed ancora Slatenik a sud-est di Bovec-Plezzo (Slovenia) come oronimo e idronimo» (ibid.).
Dai documenti citati da Puntin (per le fonti si veda la pubblicazione) risulta che i toponimi Slatina e Slatonicco sono molto antichi: 1295 unam vineam sitam supra montem Sclatanich, 1321 Sabadino de Slatina, 1378, 1494, 1639 Slatinic(h), 1539 il colle di Slatina, 1635 Slatina in monti di Cividale sotto la Gastaldia, 1639 Slatina; 1694 campi 20 del Colle Slatina. Esistono, poi, altre citazioni di Slatina, che riguardano esclusivamente il toponimo presente nella Val Natisone ed elencate dallo storico Tarcisio Venuti (Quando si amministrava la giustizia al banchum iuris, «Dom» 17/2012, per le fonti si veda l’articolo): 1401 Petro de Slatina, 1479 Giacomo decano di Slatina, 1481 Gregorio decano di Slatina, 1483 Gregorio di Slatina, 1492 Luca de Slatina.
La villa di Slatina della Val Natisone era citata, dunque, lungo tutto il secolo XV, vale a dire sia sotto il Patriarcato di Aquileia (1077-1420) che la Repubblica di Venezia (1420-1797), come costante componente della Contrada d’Antro e il suo decano era convocato a comporre il collegio giudicante della Banca.
Ma dov’era questo paese che, come si è visto, aveva anche il privilegio di avere una fonte di acqua minerale? Bo¡o Zuanella, sulla base di un elenco risalente al 1722 delle 22 ville che componevano la Contrada di Antro, esclude che Tarcetta, Brischis, Spignon e Rodda, già citati nel XIII secolo, possano avere legami con Slatina. «Restano Erbezzo e Biacis – conclude Zuanella – di cui non possediamo testimonianze scritte anteriori al sec. XVIII. Slatina potrebbe identificarsi con una di queste località». Alla stessa conclusione, ricorda Zuanella, era pervenuto anche lo storico sloveno Simon Rutar «il quale propendeva ad identificare Slatina con l’abitato di Erbezzo» (cfr. Beneœka Slovenija, Ljubljana 1899, ristampa anastatica, Cividale 1988, p. 144).
Il toponimo Spignon presente in Carnia e nella Laguna di Venezia
In documenti del XVII e XVIII secolo Slatina e Spignon vengono abbinati e indicano la medesima località
Ma ulteriori documenti venuti alla luce in questi ultimi anni e considerazioni di carattere storico e geografico mi hanno indotto a pensare che Slatina era l’odierna Spignon-Varh, frazione montana del comune di Pulfero. Gli argomenti a favore di questa tesi sono tratti da documenti d’archivio, dalla interpretazione di dati e testimonianze che riguardano la locale chiesa di Santo Spirito e dal significato di un toponimo locale che può essere abbinato a Slatina. Alcuni verbali di processi del XV secolo, citati da Venuti, escludono l’ipotesi che Slatina sia stata Erbezzo poiché negli elenchi dei partecipanti alle sedute della Banca di Antro compaiono i decani di entrambe le ville: «1479, 6 agosto. In Landri sub tileo. Il nobile Lodovico da Crema gastaldo di Cividale tiene banca con Giacomo decano di Slatina, Giacomo Decano di Erbezzo, Jurio decano di Merzo […]»; «1483, 16 dicembre. Sulla piazza di Landri, sotto gli alberi si tenne il placito: Col gastaldo erano presenti Gregorio di Slatina decano, Donato Decano…, Stefano di Erbez e Tomaso decano di Pegliano. […]»; così anche nel 1492 (T. Venuti, cit.).
Accertato che Slatina non era Erbezzo, la possibilità che possa identificarsi con Biacis viene esclusa dalle considerazioni che seguono.
In documenti successivi a quelli citati da Venuti, Slatina e Spignon vengono abbinati indicando la medesima località. Nel rapporto inviato nel 1635 dal provveditore di Palmanova alle autorità veneziane in merito alla giurisdizione esercitata dalle Banche giudiziarie viene fatto un elenco delle ville della Schiavonia sopra Cividale. Al primo posto, tra i paesi della Contrada di Antro, si legge «Spignon è Slatina», dove la ‘è’ può essere letta come congiunzione (Carlo Daveggia, Una particolare istituzione del Friuli Patriarchino e Veneto: le banche giudiziarie, in Istituzioni e società nel Medioevo italiano, Venezia 1990, p. 76).
Lungo tutto il XVIII secolo, inoltre, i due toponimi sono appaiati nelle ricevute che ho trovato tra le vecchie carte della famiglia Dorbolò-Luke¡ovi di Spignon. Ogni anno il capofamiglia versava alla Gastaldia di Cividale, che nel 1521 aveva inglobato quella di Antro come parziale risarcimento per la perdita del Capitanato di Tolmino in seguito alla guerra tra Venezia e l’Austria (1509-1516), una tassa per un terreno «alla partita Vivaruzza sotto Slatina e/è Spignon». La formula viene ripetuta come un mantra dal 1723 al 1797, anno in cui ebbe fine la Repubblica di Venezia e di conseguenza anche la Gastaldia.
Come spiegare questa simultanea presenza dei due toponimi?
È evidente che non si tratta di una loro successione temporale e che uno abbia soppiantato l’altro in quanto entrambi compaiono in documenti diversi nella stessa epoca; non si può neanche credere che Slatina sia scomparsa poiché non si ha memoria della sua esistenza né su questo territorio sono stati trovati rovine di un paese abbandonato dagli abitanti.
Ma vediamo le citazioni più antiche di Spignon e il significato del toponimo.
In base alla documentazione finora conosciuta, Spignon viene annotato prima di Slatina e precisamente nel 1320 come montem Spignoni (G.B. Corgnali, cfr. B. Zuanella, ibidem), 1327, Spignon di Cividale (cfr. Ezio Banelli, Dizionari toponomastic di Darte – Toponimi di Arta, Tolmezzo 2001, p. 409); altre citazioni: 1479, Giovanni figlio di Urbano di Spignon (Archivio curia arcivescovile di Udine – ACAU, Cartolari nuovi, voce Antro), 1602 sopra il monte di Spignon, 1616 Juuan Pular di Spignion.
«Gli studiosi di toponomastica – scrive Zuanella – fanno derivare la forma italiana del toponimo dal sostantivo spina col suffisso accrescitivo -on nel significato di “località posta sulla punta, sulla cima, sulla sommità di un monte”. Il paese, infatti, si trova nei pressi del passo che collega la valle del Natisone con la conca di Torreano. Anche la forma slovena Vàrh/Vrh (= cima, sommità) ha sostanzialmente lo stesso significato della forma italiana» (ibid.). Interpellato in proposito Maurizio Puntin conferma la tesi che il toponimo deriva da spin o spina (o direttamente in senso botanico o attraverso antroponimi scherzosi) e aggiunge che Spignon/Varh è uno dei non pochi toponimi polimorfici, cioè località con due o più nomi di significato diverso, come Seuca/Cladrecis, Bardo/Lusevare, Dipalja ves/La Glesie ecc.
A questo punto la mia ricerca dovrebbe finire con la conclusione che l’antico toponimo Slatina è da identificarsi con Spignon/Varh, ma…
Ma, dal momento che Spignon deriva da una lingua romanza, mi sono messo alla ricerca di altri toponimi uguali o simili che si riferiscono a cime di montagne, di colline, a passi montani o a valichi tra una valle e l’altra, ma anche a paesi. Mi è stato segnalato che Ezio Banelli, professore carnico trapiantato a Vernasso di San Pietro al Natisone, nel volume citato, ricorda uno Spignon di origine antica sopra Cabia di Arta/Darte: «a. 1497 pratum in pert. Cabia in Spignon (Archivio di Stato di Udine 4879), a. 1540 in Spignon, a. 1554 Spignon seu Rovereit […] Prati e frutteti che si trovano a O di Cabia, tra le case di Staulòt, lungo la strada Arta-Cabia». Oltre al nostro, Banelli cita poi altri Spignon a Monaio, Socchieve e uno Spignons a Clauzetto. Sul significato del toponimo l’autore scrive: «Di questo tipo toponomastico si è occupato Frau, Tesi 159, Repert. 1090. Secondo l’autore, i vari Spignon distribuiti in tutto il Friuli derivano dall’aggettivo “spineonis”, formato dal latino “spinus” spino (cfr. “spinus” spina, Rew 8155) e dal suff. accrescitivo -one. Il nome alluderebbe alla forma appuntita dei rilievi che caratterizzano la località».
Ma continuando nella ricerca di altri Spignon o toponimi che in qualche modo vi possono essere ricondotti, con grande mia sorpresa mi sono imbattuto nientemeno che nell’isola di Spignon che si trova nella laguna di Venezia.
Wikipedia fornisce questi dati: «Spignon è una piccola isola (160 mq) della Laguna Veneta su cui sorge un faro da tempo inattivo. Per questo motivo, l’isola è spesso indicata anche come ex faro Spignon. Il faro, che raggiunge l’altezza di 15 metri, fu edificato nella seconda metà dell’Ottocento (non esiste una documentazione ben precisa, ma è indicato per la prima volta in una mappa del 1886) e serviva le imbarcazioni che giungevano dal porto di Malamocco, trovandosi poco più ad ovest dell’imboccatura […]». L’isola ha dato il nome anche al vicino canale navigabile.
Per quanto abbia cercato, non ho trovato spiegazioni sull’origine di questo toponimo, per cui ipotizzo che la piccola isola abbia (avuto) una forma di spina o, prima della sua utilizzazione come faro, sia stata ricca di rovi, di arbusti o di altre specie di piante spinose. Spignon, dunque, nel bel mezzo della Laguna Veneta, in un contesto del tutto differente da quello del paese della Val Natisone e degli altri siti della Carnia. Cos’hanno in comune località di montagna e di mare con lo stesso nome?
Un bel rompicapo!
Gli Spignon devono il loro nome
solo alla spina «appuntita»?
Quando nella toponomastica irrompe l’esoterismo templare e conferma che Spignon è un toponimo polisemantico
Appurato che il toponimo deriva da «spina» nel senso di luogo che richiama una forma appuntita o ricco di piante spinose, la constatazione di una presenza di Spignon che possono non avere tali caratteristiche fisiche pone il problema di trovare una risposta al quesito se, accanto a quello «letterario», possono esistere anche uno o più sensi «traslati».
Voglio chiarire subito che, nel tentativo di trovare una soluzione a questo quesito, entro nel campo delle ipotesi, delle probabilità, delle supposizioni e che d’ora in poi il modo dei verbi dovrebbe essere sempre il condizionale.
Confesso che si tratta di un vero busillis ma è proprio nei momenti di difficoltà che si accende una luce e si ravviva la memoria. Mi sono ricordato, cioè, di quanto mi avevano suggerito Rosetta Gasparini e Toni Buiani di Remanzacco, appassionati ricercatori di storia locale con risvolti esoterici, riguardo ad una possibile interpretazione del toponimo Spignon sulla scia dell’ipotesi che la Grotta d’Antro sia stato un luogo frequentato dai Templari o da qualche altro ordine cavalleresco. In un recente incontro mi hanno esposto le loro ipotesi basate non solo sul toponimo Spignon ma anche sui segni (triplici cinte, croci patenti, fiori della vita…) che si trovano nella Grotta d’Antro e nelle sue pertinenze. Su questo argomento mi sono soffermato brevemente nella mia ricerca sul Volto santo di Antro (cfr. «Dom«, 9-13/2014).
Ma il nostro Spignon che c’azzecca con i Templari?
I miei interlocutori mi hanno spiegato che diversi toponimi derivanti dal termine «spina» indicano un passaggio segreto, una via d’uscita dai luoghi utilizzati dagli ordini cavallereschi in caso di emergenza. Quale migliore via di fuga dalla Grotta d’Antro se non il sentiero che porta a Spignon, scende nella Valle del Chiarò e passa accanto alla chiesa di Sant’Ermacora di Costa/Za-Podgrad?
Louis Charpentier, giornalista e scrittore francese, autore di note pubblicazioni di carattere esoterico, nel volume I misteri dei Templari (Torino 2007) sostiene che in Francia «tutte le commende [templari], o per lo meno tutti i gruppi di commende abbinate avevano nei dintorni una località della spina. Si hanno così Épinay, Pinay, L’Épinay, Épinac. Al giorno d’oggi questo può essere il nome di un campo, di una casa, di un villaggio oppure di una città […] ma sicuramente le commende non sono lontane» (p. 119). Dopo aver spiegato il simbolismo della spina nelle religioni e nella narrativa popolare, Charpentier si chiede: «Ma che rapporto esisteva tra le località delle spine e le commende? Non è da escludere che sotto forma di cunicoli o di strade nascoste esistessero delle specie di sentieri sotterranei di carattere iniziatico. Si può persino pensare che costituissero un ingresso clandestino che portava direttamente alla Grande Casa [templare]» (p. 122). L’autore ricorda, inoltre, che «nelle grandi città in cui vi era una commenda all’interno delle mura, fuori delle mura ve ne era sempre un’altra, a volte addossata ai bastioni, che certamente per mezzo di una via sotterranea comunicava con la casa interna, permettendo così di accedervi senza passare per le porte comuni. È noto, infatti, e ve ne sono prove, che ogni commenda aveva i suoi sotterranei segreti» (ibid.). Lascio ai cultori di cose esoteriche di indagare ulteriormente su questo enigma e di convalidare con ulteriori dati questa ipotesi. Da parte mia posso solo presumere che tra lo Spignon della Val Natisone e quello della Laguna di Venezia ci può essere un qualche nesso che va oltre la semplice radice comune del toponimo. Del resto a Venezia i Templari erano di casa e l’isola di Spignon, con il suo canale navigabile, poteva benissimo servire come punto di riferimento ed essere una via di accesso o di fuga; così i Cavalieri di Antro in breve tempo potevano allontanarsi dalla Grotta salendo a Spignon.
Prendendo in considerazione quest’ultima ipotesi e la presenza del toponimo in siti diversi mi permetto di avanzare dei dubbi circa l’unica spiegazione data a Spignon come «forma appuntita dei rilievi che caratterizzano la località» (Frau) o «località posta sulla punta, sulla cima, sulla sommità di un monte» (Zuanella). La posizione del nostro Spignon non è in cima alla montagna, ma sul fianco orientale, né la vetta sopra il paese, dove sorge la chiesa di Santo Spirito, ha una forma così appuntita da meritarsi tale denominazione. Si tratta piuttosto del primo rilievo della dorsale che parte dalla sella di Sicalza/Sikalca e sale in direzione Nord/Ovest culminando con la vetta del Craguonza/Kraguonca (949 m); a sua volta, sempre da Sikalca verso Sud/Est, inizia una seconda ma più breve dorsale che termina con la cima del Mladesiena (711 m). Anche lo Spignon di Cabia, mi ha confermato Ezio Banelli, non ha nulla di appuntito: si tratta di prati e boschi in declivio dove probabilmente c’era un punto di passaggio e di osservazione sulla valle.
Pensiamo poi all’accezione di spina nel senso di dorso, suggerisce Toni Buiani, per esempio «spina dorsale», «dorsale apenninica», oppure «sacra spina» per osso sacro… Spina e di conseguenza Spi(g)non è, dunque, un toponimo polisemantico che apre diverse piste di ricerca.
Quando i fedeli di Spignon ballavano davanti alla chiesa di Santo Spirito
Si trattava probabilmente di un ballo sabbatico attorno alle acque risorgive, eredità della prima Chiesa aquileiese
Queste considerazioni costituiscono il punto di partenza per avanzare un’altra ipotesi. Si è detto che Slatina indica una località con una sorgente di acqua salata, minerale. A memoria d’uomo Spignon ha sempre sofferto di scarsità d’acqua. Fino al recente allacciamento all’Acquedotto del Friuli centrale e prima ancora al rifornimento tramite autobotti, gli abitanti attingevano l’acqua dalla sorgente di Brestuje posta a 10 minuti di cammino sotto il paese. Nel 1948 venne installata una pompa che sollevava l’acqua in un deposito sopra il borgo.
L’assenza o la carenza d’acqua è una cosa insolita per la nostra Slavia perché i paesi erano costruiti vicino ad una sorgente che soddisfaceva le necessità della gente e del bestiame. Quando molti secoli fa fu fondato questo borgo di montagna al confine con i friulani cividalesi, nei pressi c’era certamente una sorgente d’acqua e deve essere stata anche particolare visto che le hanno dato il nome di Slatina. La sorgente è ora scomparsa ma oso pensare che l’indizio della sua esistenza stia non solo nell’antico toponimo ma anche in quello di Sicalza/Sikalca, con il quale vengono chiamati i bei prati a ponente della chiesa di Santo Spirito.
Il toponimo Sicalza/Sikalca deriva dal verbo sloveno sikati che vuol dire sibilare (anche in senso figurato: sibilare un’ingiuria) e anche zampillare, uscire a getto: «kri iz rane sika, kri je siknila» (= il sangue zampilla dalla ferita, il sangue è zampillato, uscito a getto (cfr. Slovar slovenskega knji¡njega jezika, alle voci sikati/sikniti). Sikalica (ted. die Handspritze) era uno strumento che i bambini di Caporetto facevano con la corteccia dei rami di sambuco (Pleterœnikov slovensko-nemœki slovar). Di che strumento si trattava? Di primo acchito si direbbe di un rudimentale piffero con il quale i bambini eseguivano elementari melodie. Ma la spiegazione non risponde al significato del termine e dei suoi sinonimi per cui il termine non potrebbe rientrare nel contesto della presente ricerca. A dare un’esauriente spiegazione dell’uso che i bambini di Caporetto e delle Valli del Natisone facevano della sikal(i)ca è stato Giorgio Ruttar di Jesizza (San Leonardo) che nella sua rubrica sul quindicinale «Dom» (14/2015) scrive come da un pezzo di ramo svuotato del midollo e riempito d’acqua i ragazzini rincorrendosi si spruzzavano a vicenda. Questo strumento era chiamato, appunto, sikal(i)ca (= spruzzatore). Come sinonimo di sikalica i dizionari sloveni citano brizgalnica, strumento per irrorare le piante; il verbo brizgati significa «fuoriuscire a getto di un liquido, zampillare» (Slovar).
È logico pensare, allora, che in località Sikàl(i)ca ci sia stata la sorgente d’acqua minerale di Slatina alla quale attingevano gli abitanti di Spignon. È possibile che, in seguito, per fenomeni geologici o per un abbassamento della falda, la sorgente che zampillava su quei prati si sia persa e ne si sia stata cancellata anche la memoria. Al limitare del prato di Sicalza ha origine il letto inaridito di un ruscello nel quale probabilmente scorreva l’acqua minerale di Slatina e al termine di un ripido percorso si gettava nel Natisone nei pressi dell’abitato di Spagnut/Podœpanjud.
Ad avvalorare l’ipotesi che Sicalza indica una sorgente è il toponimo simile per suono, derivazione e significato Sicàuca/Sikàuka. Si tratta di una «sorgente posta lungo la strada Castelmonte-S. Pietro Chiazzacco. Il nome sembra derivato dal verbo slov. síkati ‘sgorgare con brevi spruzzi’ (ESSJ III, 234 s.v.)» (M. Puntin, cit.).
È possibile – e qui apro un altro campo di ricerca vasto e importante ma ancora inesplorato sulla presenza del primo cristianesimo aquileiese nelle Valli del Natisone – che quella sorgente zampillante abbia spinto i cristiani a costruire la chiesa dedicata allo Spirito Santo e a Sant’Ermacora (Mohor in sloveno, Macôr in friulano; Maqôr in ebraico significa sorgente)? È possibile che i balli eseguiti dai fedeli in occasione della dedicazione della chiesa di Spignon siano da collegare ad antichi rituali che i cristiani aquileiesi celebravano seguendo una tradizione che proveniva da Alessandria d’Egitto da dove era arrivato l’evangelista Marco che, secondo la tradizione, aveva fondato la Chiesa aquileiese? La comunità cristiana di Alessandria era formata in prevalenza da fedeli di origine ebraica che avevano conservato non poche tradizioni della loro religione e cultura originaria come le danze sacre e l’astensione dal lavoro nel giorno di sabato, usanze che si sarebbero trapiantate anche in Friuli e nella Slavia e vi sarebbero state praticate per lunghi secoli. Probabilmente di quei balli scrisse il canonico cividalese Michele Missio nel verbale della visita alla chiesa di Spignon il 9 maggio 1602 e li stigmatizzò come un’usanza profana e deprecabile: «per aver intesso che davanti la chiesa si fanno i balli il giorno del anniversario con grandissimo scandalo delli devoti: si ordina che in pena de escomunicatione, et interdetto la Chiesa ivi non si facciano balli né altri strepiti». La stessa minaccia di scomunica venne lanciata contro gli organizzatori dei balli davanti alla chiesa di San Donato sopra Lasiz non lontana da Spignon (cfr. Angelo Cracina, Gli Slavi della Val Natisone, Udine 1978, p. 230. 233)
In realtà potrebbero essere stati i residui, poi non tanto rari sia in Friuli che nella Slavia (cfr. Bo¡o Zuanella, Chiesette votive diroccate o distrutte nella valle di Savogna, «Dom» 12-14/1992), di danze rituali di antica origine slava, come sostiene l’autore della ricerca, oppure (ma una ipotesi non esclude l’altra) alessandrino-aquileiese che venivano eseguite in occasione di ricorrenze liturgiche, in particolare dell’anniversario della dedicazione della chiesa. Scrive don Gilberto Pressacco, storico e musicologo scomparso prematuramente (1945-1997), che per lunghi anni indagò sulle origini marciano-alessandrine della Chiesa d’Aquileia: «Ed ecco allora che la notte del sabato [che ricorda la discesa di Gesù agli inferi dopo la sua morte, ndr] diventa il tempo in cui si deve gioire, si deve far festa, si deve cantare, si deve ballare… tutta la notte, fino all’estasi, come nelle feste bacchiche: ed i primi cristiani di Alessandria d’Egitto così facevano […]. Ed ecco allora anche perché nell’antico Friuli contadino, rurale, agricolo il ballo sabbatico attorno alle acque risorgive era un appuntamento “tradizionale” conservatosi segretamente e ostinatamente anche quando ormai gli orientamenti della Grande Chiesa l’avevano portata lontano dalle radici petrine e marciane verso più dotte ed abili rotte paoline» (Gilberto Pressacco, L’arc di San Marc, Opera omnia, vol. II, parte 2ª, a cura di Lucio De Clara, Udine 2013, p. 975).
E quei balli, sostiene Pressacco, mediati da Alessandria, «non erano altro che la riproposizione delle “danze in due cori” che Miriam e Mosè avevano “condotto” sulla sponda orientale del mar Rosso appena la massa degli schiavi ebrei era riuscita a sfuggire all’inseguimento della cavalleria del Faraone. Quel passaggio/fuga aveva costituito la fondazione/dedicatio, la rinascita del popolo eletto. Ma alla fondazione del Tempio di Gerusalemme non aveva danzato anche Davide fino allo stremo delle forze? E non avevano danzato per secoli nell’anniversario della fondazione/dedicazione di ogni anche più piccola e sperduta chiesetta innumeri generazioni di cristiani?» (ibid., p. 75). L’ipotesi che Spignon derivi da spina, intesa come sorgente d’acqua, attorno alla quale i fedeli eseguivano le danze rituali, è confortata dal grande linguista Giovan Battista Pellegrini che per il toponimo Spina, presso Alleghe (Bl), «propone un accostamento all’appellativo dialettale spina “polla d’acqua”» (cfr. E. Banelli, cit.). In base a ciò oso accostare lo sloveno Sikalca/Sicalza al romanzo Spi(g)non nel senso che esso, in origine, abbia potuto indicare la polla, la sorgente d’acqua minerale e poi sia stato usato per dare il nome al monte e al paese. Schematicamente: la fonte di acqua minerale Sikalca ha dato il nome sloveno al paese di Slatina; d’altra parte la sorgente Spi(g)non ha dato lo stesso nome romanzo al paese e al monte.
Per curiosità e senza i dovuti approfondimenti e verifiche, ho fatto una rapida indagine su località con fonti, sorgenti, corsi d’acqua denominati spina o derivati da essa. Tra i vari riferimenti mi sembrano interessanti i toponimi Fontespina (Civitanova Marche) e in particolarei Spinone al Lago, comune in provincia di Bergamo, dove la valle del Tuf «è ricca di sorgenti di acqua sulfurea molto rinomata per le sue qualità terapeutiche tanto che il comune fin dalla fine del XIX secolo riservava alla popolazione “il diritto di trasportare acqua agli ammalati dietro ricetta del medico e di berla alla Fonte spinosa gratuitamente”» (www.vikipedia.org, alla voce Spinone al Lago).
Infine, ricordo un’ulteriore ipotesi interpretativa del toponimo Spignon che sembra coniugare il significato di spina sia come dorsale montuosa che sorgente. Nella Val Visdende, in comune di San Pietro di Cadore, si trova il «Coston della Spina a quota di 2085 m e 2050 m, presso un’area umida e in condizioni di passo». Questo sito «è in posizione dominante a cavaliere tra le pale erbose che scendono ripidamente nella valle di Lòndo e l’ampia conca di prato-pascolo, ricca di acque ed erbe». Nella stessa area, in comune di Comelico Superiore, esiste la dorsale Spina-Quaternà, una lunghissima giogaia che nel suo tratto meridionale presenta una prateria alpina «costellata da una quindicina di minuscoli laghetti e pozze d’acqua». L’appellativo spina nel dialetto locale «significa “crinale, displuviale” e indica una dorsale erbosa di moderata pendenza» (Piergiorgio Cesco-Frare e Carlo Mondini, I monti della preistoria. Dal Peralba al Civetta sulle tracce dei cacciatori mesolitici, www.comelicoltura.it). Sembra la descrizione del monte Kraguojnca la cui dorsale erbosa parte da Sicalza e poco sotto la vetta incrocia l’idronimo Studénza/Studéncaa (dial. slov. studenac = sorgente), una sorgente ormai scomparsa nota fino a qualche decennio fa per la freschezza e la bontà dell’acqua.
Forse quest’ultima ipotesi interpretativa dei toponimi derivati da spina potrebbe fornire la chiave di lettura per risolvere l’enigma Spignon nel senso di dorsale con sorgenti d’acqua.
Giorgio Banchig