Comunità montane, proposto un salto all’indietro di otto anni

 
 
Ritorno al passato, alle comunità montane nei confini prima della riforma del 2002. È questa la proposta alla Regione del tavolo di lavoro che ha esaminato lo schema di disegno di legge della Giunta sul «Riordino e semplificazione dell'ordinamento locale in territorio montano. Istituzione delle Unioni dei comuni montani». La quindicina di sindaci della Carnia, della Valcanale e del Canal del Ferro, del Gemonese, della Slavia, del Collio e della montagna pordenonese, consigliando di trovare una nuova denominazione al posto di Unione, in quanto essa «può generare incertezze», ha individuato i seguenti «ambiti coerenti»: Carnia, Canal del Ferro-Val Canale, Gemonese, Torre, Natisone, Collio e un paio di ambiti per la montagna pordenonese. Il nuovo ente locale dovrà essere sovracomunale e dotato di personalità giuridica.
Ma le analogie con le comunità montane soppresse otto anni fa finiscono qui. Infatti, i sindaci propongano non solo che il nuovo ente mantenga le competenze avute finora, ma vi aggiunga ed eserciti «in via esclusiva» funzioni da sottrarre ai comuni. L'elenco comprende: attività produttive; iniziative ed attività culturali e di valorizzazione di beni culturali di valenza sovracomunale; turismo; edilizia scolastica e gestione servizi scolastici, compresi asili nido pubblici e fino all'istruzione secondaria di primo grado; opere pubbliche e servizi di valenza sovracomunale; polizia locale e vigilanza; definizione e realizzazione delle politiche energetiche, espletamento dei servizi: espropri, catasto, tributi, ufficio del personale.
Se accolta, questa impostazione rappresenterebbe una vera rivoluzione, in quanto svuoterebbe di competenze i comuni. Il che potrebbe essere accettato dai piccoli comuni, ma difficilmente digerito dai grandi come Cividale, Tarcento, Gemona e Tarvisio. Anche perché al nuovo ente è previsto il passaggio del personale dei comuni «per steps attuativi collegati alle funzioni trasferite», che si aggiungerebbe ai dipendenti della attuali comunità.
Tuttavia, secondo il documento prodotto dal tavolo di lavoro — e presentato ai presidenti della Giunta, delle commissioni competenti e dei gruppi consiliari — «al nuovo ente dovranno, obbligatoriamente, partecipare tutti i comuni dei territori di riferimento, indipendentemente dalle dimensioni dei comuni medesimi». Dunque, anche quelli grandi. Che sarebbero, però, premiati dal voto ponderale, che consentirebbe loro di dominare l'assemblea. E andrebbe chiarito meglio il significato di «sistema della doppia maggioranza che tenga conto sia del criterio ponderale che di quello nominale per quanto riguarda gli atti fondanti e di maggiore importanza».
Le nuove comunità sarebbero dotate di assemblea con una rappresentanza delle minoranze comunali, di un presidente — necessariamente un sindaco — e di un organismo intermedio, senza deleghe, le cui caratteristiche siano individuate in Statuto.
Il documento chiede alla Regione garanzia delle risorse finanziarie «fino all'autodeterminazione» e che gli attuali commissari straordinari vengano coadiuvati nella predisposizione del piano di subentro da un gruppo di sindaci appositamente nominato.
Nella fase di avvio del nuovo ente, inoltre, nell'attesa della redazione e approvazione dello statuto, dovrebbero essere i sindaci dei comuni maggiori a ricoprire la carica di presidente.
Forte è, infine, l'accento sulla necessità di una «Conferenza permanente della montagna», un organismo di confronto programmatorio tra i nuovi enti e la Regione.
La palla passa, ora, alla Giunta e al Consiglio regionali. Certo, le proposte del tavolo di lavoro non sono vincolanti, tuttavia era stato lo stesso presidente del Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo, ad auspicare che dai rappresentanti dei sindaci dell'intero territorio montano uscisse un disegno di legge «in grado di accogliere il consenso non solo della maggioranza, ma di tutta l'aula consigliare».

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