Chiesa carinziana e chiesa udinese_Razlike med koroško in vidensko Cerkvijo

Se ritorno agli anni della mia infanzia mi rendo conto che ho avuto la fortuna di avere intorno a me la famiglia, il paese, il gruppo dei pari e quant’altro a comunicarmi, attraverso il linguaggio sloveno di casa, i contenuti non solo linguistici, ma valoriali e comportamentali costituenti la mia identità. Ma era la chiesa, la parrocchia, come unica agenzia, per così dire, pubblica ed autorevole a confermarne il valore. Non certo la scuola e le altre pubbliche istituzioni. Le prediche, i canti, le preghiere, il catechismo, le pratiche della tradizione per il loro implicito significato identitario sono stati alla base della consapevolezza di far parte di un gruppo particolare, ricco di radici e tradizioni ultramillennarie.

Non conoscevo allora l’appellativo “Čedarmaci”, che caratterizzava il gruppo di sacerdoti che avevano compreso il valore della lingua locale, la quale si salda(-va) in modo indissolubile con la fede, con i simboli e le pratiche religiose. L’appellativo Čedarmaci si richiama all’eroica resistenza all’assimilazione forzata perpetrata anche dalla Chiesa, tradotta in romanzo verità da France Bevk, da parte di un parroco del luogo, don Antonio Cuffolo. Li scoprii molto più tardi, da adulto, al momento della riconquista della mia identità etnica e linguistica. E rimasi commosso quando la stessa Chiesa, con le parole del compianto arcivescovo Mons. Alfredo Battisti, chiese formalmente scusa alla nostra gente per il comportamento ostracizzante la nostra lingua materna. «Amate la vostra lingua, cantate con essa i canti dell’anima! », affermò dal palco in quel «Dan emigranta» del 1977. Sono passati 43 anni da allora ed oggi mi ritrovo spaesato, confuso e disilluso. Una faccia della Chiesa locale che mi è difficile riconoscere. Perché? Perché mi paiono disconosciuti e mistificati la richiesta di perdono, l’invito, la sollecitazione di Battisti. E fa male la sensazione che ciò provenga dalla stessa cattedra apostolica. È vero, i sacerdoti e tra loro i «Čedarmaci» si sono drasticamente ridotti di numero e di forze e non c’è in loco chi prenda la staffetta dalla loro mano. Ma, al colmo, anche quando l’aiuto si propone dall’esterno lo si rifiuta o condiziona. Non posso conoscere le ragioni nascoste e non voglio fare illazioni, ma mettendo insieme le notizie che ritrovo sulla stampa, mi riesce difficile non cogliere macroscopiche contraddizioni nel comportamento della Curia.

Cito l’editoriale del settimanale «la Vita Cattolica» che in un certo modo enfatizza la nomina papale del nuovo vescovo, mons. Josef Marketz, nella confinante diocesi carinziana di Gurk–Klagenfurt, dopo un predecessore alquanto discusso. Va detto che il nuovo vescovo, perfettamente bilingue tedesco-sloveno, ricco di studi teologici a Salisburgo e Lubiana con dottorato conseguito a Vienna, impegnato nel sociale come presidente della Caritas carinziana, presenta doti non comuni. Lo evidenzia il direttore del periodico citato, mons. Guido Genero, che come inviato vescovile ha partecipato alla consacrazione e ne descrive la solennità evidenziandone alcuni punti. «Un primo elemento di rilievo – scrive – è la singolarità bilingue, perché bietnica, della Chiesa cattolica carinziana». Quindi, presumibilmente, in questo caso il Papa ha optato per una scelta «cattolica», nel suo senso etimologico, cioè universale, al di là delle diatribe linguistiche ed etniche di cui non è esente la Carinzia/Koroška. Ma mons. Genero continuando la frase, prosegue su questo punto accostando questo evento di evidente apertura e valorizzazione della comunità slovena carinziana affermando: «Come accade per la nostra diocesi segnata dalla pluralità delle culture, così da loro è normale e naturale utilizzare nella liturgia, come pure nell’area più vasta della informazione e della comunicazione, l’alternarsi rispettoso delle lingue che si riconoscono e sostengono a vicenda». Mi piacerebbe verificare la veridicità del parallelismo espresso nelle parole: «Come accade per la nostra diocesi … così da loro è normale e naturale utilizzare…».

Al di fuori delle nostre povere, depresse e diseredate Valli, forse basta una lettura in lingua slovena in Duomo a Udine, in alcune particolari celebrazioni liturgiche, per dar senso a quell’affermazione? Cosa accade nella nostra diocesi? Si legga con attenzione, per chi lo capisce, nel nostro editoriale di questo numero alcune osservazioni di uno dei Čedarmaci ancora in attività nonostante l’età e le precarie condizioni fisiche, quando scrive: «Mons. Marketz nella sua persona porta, come noi Beneciani, il bilinguismo, vale a dire l’apertura al prossimo, all’altra cultura e al rispetto di essa. Se anche i vicini avessero questo atteggiamento, il nostro mondo sarebbe più saggio e realmente la nostra sarebbe una valle di felicità e, non al contrario, valle delle lacrime». Concretamente leggo anche notizie che danno un sapore diverso a quel «come accade per la nostra diocesi».

Vado in Valcanale. Alla fine di novembre ha dovuto lasciare il servizio pastorale p. Jan Cvetek, francescano sloveno, che in un anno di presenza si era conquistato tra tutti un ruolo di vero pastore. «Si era prodigato con l’esempio e la parola, da segnare profondamente i cuori di tutti noi, dai piccoli alle persone più mature – hanno sottoscritto centinaia di persone in un documento inviato a chi di dovere – la chiesa ha cominciato ad essere un richiamo per tanti … rivivevano la fede e la speranza». Purtroppo il p. Cvetek aveva il peccato originale di non appartenere alla diocesi udinese e per di più era sloveno.

E come va nelle nostre valli beneciane? All’interno della cattolicità/universalità della chiesa nostrana c’è chi avrebbe voluto negare la prima comunione a bambini preparati al sacramento col catechismo bilingue sloveno-italiano. Eppure nella prima Pentecoste gli apostoli parlarono tutte lingue e Gesù, giusto prima di salire al cielo raccomandò: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura». La Madonna a Porzus/Porčinj parlò a Teresa Dush nella sua lingua slovena. Questa è la cattolicità.

Riccardo Ruttar

Ob posvečenju koroškega Slovenca v novega krškega škofa, Riccardo Ruttar poudarja na nič dobrem odnosu videnske nadškofije do domačih Slovencev.

Deli članek / Condividi l’articolo

Facebook
WhatsApp