Il futuro ci sta guardando!». Purtroppo non basta Greta Thumberg, non basta il Papa e nemmeno le promesse di Biden. Qui serve la consapevolezza di tutti, tutti noi del popolino per un serio esame di coscienza. Sappiamo tutti che basta una bottiglia di plastica a testa qui in Italia per farne 60 milioni. E quante ne consuma ciascuno di noi? E quanto ognuno di noi contribuisce all’inquinamento atmosferico?
Mi ha turbato leggere su Repubblica del 1° novembre, che a metà agosto «ha piovuto sulla Summit Station, il punto più alto della Groenlandia. Non era mai accaduto prima». Sale la temperatura, si estende la siccità, si alzano i mari, su immensi territori incendi incontrollabili ed alluvioni disastrose. Quante le vittime dirette o indirette di questi fenomeni?
È vero, l’inesorabilità della morte vale per ognuno di noi; tuttavia, c’è anche da chiedersi di che morte si tratta, specie quando essa è prematura e/o violenta. Che c’è da commentare quando si assommano di giorno in giorno i disastri che la Natura vendicativa ci propina? Suicidio consapevole e omicidio premeditato collettivo.
D’altro canto, parlando di morti provocate, va detto che chi rifiuta, sottovaluta e si rifiuta in qualsiasi modo di combatterla coi mezzi disponibili, di fatto usa l’epidemia Covid come arma letale, come se «sparasse» nascondendo la mano dietro il paravento di uno slogan beffardo gridando: «Libertà» e denunciando «dittature sanitarie». Intanto, senza lo schermo del vaccino e senza mascherina, anche solo gridando lui sparge veleno verso il vicino, credendosi «libero» di causarne malattia e una possibile morte prematura. Mi chiedo in fatti: che differenza c’è tra sparare con un’arma e diffondere virus letali? Al di là di ogni legge, al di là di ogni ragione, una persona umana degna di questo nome, non può dirsi umana quando con le proprie azioni mette a repentaglio la vita del prossimo. E non solo la vita, ma la sicurezza, il lavoro, la pace sociale, l’economia in affanno e quant’altro.
Dovere dello Stato è salvaguardare con ogni mezzo la salute dei suoi cittadini, perché è il bene più prezioso che ognuno possa desiderare. Per sé e per gli altri.
Ruttar Riccardo
Avanti per prova ed errore_Naprej s poskusi in napakami
La civiltà umana è cresciuta in ogni settore della sua evoluzione passando per tentativi, per esperienze negative nella ricerca del loro superamento. Trial and error – prova ed errore è un binomio che ho memorizzato nei miei primi studi di psicologia, ben sapendo che non esiste metodo più efficace per progredire, per superare difficoltà, per trovare soluzioni adeguate ed efficaci sia per quanto concerne la vita individuale che quella collettiva. Andare avanti per prova ed errore finché non si trova una soluzione. E, appunto, constatando quali esperienze ha vissuto e viva l’umanità, che viene il dubbio che la stessa non voglia trarre l’esplicito insegnamento dagli errori commessi, pur avendone tutte le possibilità.
A guardare gli avvenimenti degli ultimi tempi, di ieri, pare che una parte consistente delle società, abbia rinunciato all’uso del raziocinio, abbia perso la bussola fino a rifiutare un approccio razionale con la realtà circostante. Parliamo anche di scienza, di quanto oggi l’umanità abbia a disposizione come patrimonio di conoscenze. Capacità che proprio per prova ed errore hanno portato a soluzioni concrete, verificabili e verificate. E di certo non mi riferisco solo ai vaccini antiCovid. Mi vengono in mente situazioni di smarrimento mentale, di insensatezze inspiegabili seguendo, ad esempio, argomentazioni di svitati mentali al limite della pazzia, tipo di terrapiattisti, che prendono per vera ed assoluta la teoria di una terra, la nostra, piatta, ne più né meno che una pizza farcita di monti, fiumi, pianure e mari. Se questo può far scuotere la testa anche all’asino di altrettanta folle pregnanza è, in certi casi, tutta la pletora di argomentazioni addotte per negare il reale catastrofico effetto dell’epidemia che sta mettendo in crisi la salute e quindi la vita umana sul pianeta. Lo stesso dicasi in relazione al rifiuto o alla sottovalutazione del rischio ecologico, del conto che sta presentando la Terra, quale essere vivente, all’uomo che ne abusa a suo stesso danno.
Hanno ben ragione soprattutto i giovani a manifestarela propria insofferenza, l’allarmante indignazione, – come i duecentomila convenuti a Glasgow inoccasione della Cop 26, 26ª Conferenza delle partisui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite – per il «Bla, bla, bla» dei vari rappresentanti delle Nazioni presenti all’incontro. Un bel dire: «Non c’è un pianeta B! Agire ora! Affondiamo!
Il futuro ci sta guardando!». Purtroppo non basta Greta Thumberg, non basta il Papa e nemmeno le promesse di Biden. Qui serve la consapevolezza di tutti, tutti noi del popolino per un serio esame di coscienza. Sappiamo tutti che basta una bottiglia di plastica a testa qui in Italia per farne 60 milioni. E quante ne consuma ciascuno di noi? E quanto ognuno di noi contribuisce all’inquinamento atmosferico?
Mi ha turbato leggere su Repubblica del 1° novembre, che a metà agosto «ha piovuto sulla Summit Station, il punto più alto della Groenlandia. Non era mai accaduto prima». Sale la temperatura, si estende la siccità, si alzano i mari, su immensi territori incendi incontrollabili ed alluvioni disastrose. Quante le vittime dirette o indirette di questi fenomeni?
È vero, l’inesorabilità della morte vale per ognuno di noi; tuttavia, c’è anche da chiedersi di che morte si tratta, specie quando essa è prematura e/o violenta. Che c’è da commentare quando si assommano di giorno in giorno i disastri che la Natura vendicativa ci propina? Suicidio consapevole e omicidio premeditato collettivo.
D’altro canto, parlando di morti provocate, va detto che chi rifiuta, sottovaluta e si rifiuta in qualsiasi modo di combatterla coi mezzi disponibili, di fatto usa l’epidemia Covid come arma letale, come se «sparasse» nascondendo la mano dietro il paravento di uno slogan beffardo gridando: «Libertà» e denunciando «dittature sanitarie». Intanto, senza lo schermo del vaccino e senza mascherina, anche solo gridando lui sparge veleno verso il vicino, credendosi «libero» di causarne malattia e una possibile morte prematura. Mi chiedo in fatti: che differenza c’è tra sparare con un’arma e diffondere virus letali? Al di là di ogni legge, al di là di ogni ragione, una persona umana degna di questo nome, non può dirsi umana quando con le proprie azioni mette a repentaglio la vita del prossimo. E non solo la vita, ma la sicurezza, il lavoro, la pace sociale, l’economia in affanno e quant’altro.
Dovere dello Stato è salvaguardare con ogni mezzo la salute dei suoi cittadini, perché è il bene più prezioso che ognuno possa desiderare. Per sé e per gli altri.
Ruttar Riccardo
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