Le influenze e gli scambi artistici tra friuli e Slovenia dal XIV al XVI secolo furono frequenti e fecondi. «Ancora nel ‘600 inoltrato incontriamo nella Gorenjska e nella valle dell’Isonzo opere o quantomeno influssi degli scultori o degli altaristi friulani. Se vogliamo considerare giustamente questa grande regione culturale, non dobbiamo frantumarla con confini etnici e politici e nemmeno con quelli segnati dai rilievi geografici, ma dobbiamo tenere gli occhi aperti e sensibili alle varianti e alle sfumature stilistiche, alle costanti e ai dialetti stilistici» (E. Cevc, L’apporto di di Andrea da Loka nell’architettura gotica slovena, in «Sulle strade di Andrea da Loka», cit., p. 70)
Nel suo «Itinerario» in Carinzia, Stiria e Carniola il cancelliere patriarcale Paolo Santonino fa memoria della sosta a San Pietro al Natisone dove la comitiva, diretta a visitare le chiese e le parrocchie delle regioni d’Oltralpe, fu rifocillata dal vicario Clemente Naistoth. Nel suo scritto annotò: nella canonica fu fatto il pranzo «in quo (quia sabbatum erat) habuimus de optimis piscibus, et inter alios temulum appendentem libras duas» (poiché era sabato ci furono offerti degli ottimi pesci, tra i quali un temolo del peso di due libre – circa 650 grammi – G. Vale, Itinerario…, cit., p. 175).
La comitiva riprese la strada e pervenne alla villa di Creda / Kred, dove il vescovo visitatore, Pietro Carlo da Caorle, consacrò la cappella di S. Ilario posta in monticulo saxoso (G. Vale, Itinerario…, cit., p. 175). Nello spirituale la villa di Creda, con la sua chiesa di S. Nicolò (eretta in curazia nel 1809), era soggetta al Capitolo di Cividale che l’assisteva per mezzo del vicario di Caporetto. ( G. Vale, Itinerario…, cit., p.175 n. 2).
Da Creda la comitiva proseguì fino a Caporetto, per il pranzo, e Tolmino, poi, come annota il Santonino, per monti selvaggi e pressocché intransitabili… per ardua strada molto faticosa in salita e in discesa fino a Cerkno / Circhina, ed ancora sopra il monte Oslica, che segnava il confine tra il territorio di Venezia e quello dei Signori di Škofja Loka, per attraversare la valle di Poljane e arrivare alla città di loka.
Come si evince, la strada era irta di difficoltà dove a stento si transitava con carretti, pur tuttavia è stata nel Medioevo una vivace via di comunicazione e di traffici tra il Friuli e la Slovenia centrale, ovvero la Gorenjska. Da questa località era possibile accedere alla Carintia e alla Stiria.
La stada fu giustamente denominata «slovenska pot» (strada slovena) ed era importante non solo per gli scambi economici e commerciali, ma anche per quelli culturali, come bene ha rilevato lo storico dell’arte Emilijan Cevc (L’apporto di Andrea…, cit., p. 72). Essa collegava due popoli confinanti, gli Sloveni e i Friulani, per molti aspetti vicini anche spiritualmente e, inoltre, soggetti allo stesso potere ecclesiastico, quello del Patriarcato di Aquileia.
Parlando dell’importanza di questa strada, percorsa anche dai canonici del Capitolo di Cividale per visitare le chiese e le parrocchie poste sotto la sua vasta giurisdizione e che collegava il Friuli alla Boemia, il compianto decano di Caporetto, Franc Rupnik, cita il grande studioso sloveno di storia e di cultura, Franc Stele, «il quale scrive nel libro Umentnost v Primorju (L’arte nel Litorale): “Proprio su questa strada si trovano i monumenti più interessanti. Questo scambio delle culture è stato particolarmente intenso per la prima volta nella seconda metà del secolo XIV e nella prima metà del secolo XV. La seconda volta nella seconda metà del XV secolo e nella seconda metà del XVI secolo.
E precisamente la prima volta in direzione ovest-est, la seconda volta in direzione inversa. Che questi scambi tra il Friuli e la Gorenjska, cioè la Carniola superiore, siano stati di carattere non soltanto culturale, ma anche ed anzitutto di tipo commerciale ed economico, è dimostrato anche dalla Confraternita slovena di S. Girolamo di Udine, della quale le prime notizie risalgono all’anno 1412 e le ultime all’anno 1495”» (F. Rupnik, Gli altari lignei dorati della bottega d’intaglio di Caporetto, in «Sulle strade di Andrea da Loka», cit., p. 159).
Sicuramente esistevano altre vie di comunicazione frequentate, oltre la menzionata, tra le due regioni contermini, soprattutto se si devono conteggiare gli intensi scambi commerciali intercorsi attraverso i secoli specie entro i limiti giurisdizionali del Patriarcato di Aquileia.
Giustamente Gian Carlo Menis mette a fuoco «il ruolo decisivo che la diocesi patriarcale aquileiese svolse durante il Medioevo e la prima epoca moderna, per la promozione di relazioni intense e costruttive fra le diverse etnie conviventi sul suo territorio, favorendo il costituirsi nel cuore dell’Europa di una vasta area di integrazione culturale fra mondo latico, germanico e slavo… quansi un’anticipazione (o una profezia?) delle contemporanee istanze di integrazione europea.
È per questa ragione che il Patriarcato di Aquileia, soffocato nel 1751 dall’assolutismo intollerante degkli Stati moderni che si erano spartiti il suo territorio, sopravvive ancor oggi fra le popolazioni locali non solo quale retaggio storico ma sotrattutto come progetto politico e impegno culturale per il futuro di più umana convivenza civile» (G. C. Menis, Radici storiche dell’Europa tra Friuli, Carinzia e Slovenia, in «Sulle strade di Andrea da Loka», cit., p. 30).
(3 – fine)