Ripensando alla mia infanzia ricordo con commozione le due nonne, nonna Milija e nonna Babuška; la prima, forte come una roccia e tenera come il pane appena sfornato, l’altra custode di storie e segreti che da una vita cerco di ricostruire. I nonni li ho persi molto prima che potessero entrare nei miei ricordi e sono rimasti materialmente entrambi introvabili.
Quello paterno, Mateuž, che alla mia nascita avrebbe compiuto 100 anni (nato nel 1847), chissà dove è sepolto presso la città di Wladikavkaz (Russia) già ai primi tempi del bolscevismo staliniano. Quello materno, anch’esso, mucchietto di ossa in qualche Ossario, uno tra i 60 mila militi ignoti del primo conflitto mondiale; non una tomba e un nome scolpito su una lapide. Mi sono mancati, nella mia ricerca di memorie, di esperienze che mai potrò conoscere e quindi trasmettere come patrimonio di lontane radici spezzate.
Ed oggi, quando ognuno potrebbe far sentire ai nonni il proprio affetto e riconoscenza, e usufruire della loro esperienza di vita, dove li troviamo troppo spesso i nonni?
No, non si può relegare i vecchi alla solitudine di una stanza di ricovero come se il loro amore che ha cresciuto figli e desiderato nipoti, quasi fosse una colpa da espiare! Mi chiedo dove stia andando il mondo, quando la famiglia non ha più un vero significato e sta perdendo il suo ruolo fondante.
Riccardo Ruttar
Sono grato al Signore di essere nonno_Hvaležen sem Bogu, da sem ded
Non è un caso che sia stata scelta dal papa Francesco la quarta domenica di luglio per indire la «Giornata internazionale dei nonni e degli anziani». Ha voluto collegarla, infatti, alla ricorrenza commemorativa dei santi Gioacchino e Anna, nonni di Gesù, papà e mamma di Maria, sua madre, che si celebra il 26 luglio. Maria era stata concepita quando ogni speranza di maternità per Gioacchino era un pio desiderio: erano entrambi anziani.
Questa Giornata di iniziativa pontificia non vuole essere un doppione della«Festa dei nonni», nata negli Stati Uniti già nel 1978 e istituita in Italia nel 2005, perché il papa ha voluto darle un significato che trascende la festa, la celebrazione, i pacchetti regalo e fiori di nontiscordardimè, il fiore ad essi dedicato.
È appena passata domenica scorsa questa giornata voluta dal santo padre, non so quanto «internazionale» e non so quanto sentita dagli stessi interessati. Social e mass media non si sono sprecati, nonostante un vivace invito alla festa e alla riflessione sia stato esteso in tante diocesi e parrocchie italiane. Quanto possa importare ai più la commemorazione dei genitori della Madonna lo possiamo immaginarecontando i frequentatori dei precetti festivi nell’Italia cattolica; potrebbe invece interessare tutti il richiamo al valore, al ruolo, all’immagine degli anziani, specie se soli, che siano o menononni. Comunque, per questo 25 luglio papa Francesco si è premurato di inviareun messaggio di tre pagine che inizia con: «Cari nonni, care nonne», per dare a loro, ma soprattutto ai loro figli e nipoti, ragioni di speranza, vecchie e nuove vie di impegno per una rinascita dopo l’esperienza traumatica della pandemia.
Gli anziani, i nonni e le nonne l’han pagato caro il loro stato anagrafico nelle ultime drammatiche stagioni col rischio concreto di ricaderci per l’irresponsabilità di molti no-vax, convinti che ad essi il Covid faccia solo solletico, ma senza pensare che per altri diventa rischio la loro stessa presenza.
A tal proposito il papa afferma, tra l’altro: «Come ho più volte ripetuto, dalla crisi in cui il mondo versa non usciremo uguali: usciremo migliori o peggiori. E «voglia il Cielo che […] non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare – siamo duri di testa noi! –. Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca. Nessuno si salva da solo».
In questa prospettiva ribadisce ancora che «c’è bisogno di te – rivolgendosiproprio agli anziani – per costruire, nella fraternità e nell’amicizia il mondo di domani: quello in cui vivremo, noi, coi nostri figli e nipoti, quando la tempesta si sarà placata». Ed indica tre pilastri per sorreggere una nuova costruzione: i sogni, la memoria e la preghiera. Poi aggiunge: «Il futuro del mondo è in questa alleanza tra i giovani
e gli anziani. Chi, se non i giovani, può prendere i sogni degli anziani e portarli avanti? Ma per questo è necessario continuare a sognare: nei nostri sogni di giustizia, di pace, di solidarietà risiede la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, e si possa insieme costruire il futuro». Lungo e ampio è il discorso del papa, in cui evidenzia che senza forti valori fondanti legati al vangelo ed alla trascendenza il futuro ci scapperà di mano, appesantito dalla perdita della spiritualità e lo sprofondare nel materialismo senz’anima oggi imperanti. Gli anziani, i nonni hanno, proprio oggi, ancora qualcosa da dire e insegnare.
Lo vede bene il papa, ma lo possiamo notare anche noi, come la famiglia tradizionale si stia sfaldando, come i legami famigliari e parentali si affievoliscano fino a spezzarsi del tutto. Fortunato quel bimbo che può stare in braccio alla nonna e al nonno, ascoltarli, sentirne la carezze ed i racconti, attingere alla memoria di una vita così velocemente ed inesorabilmente stravolta dal nuovo modo di intenderla. E immensamente appagati sono il nonno e la nonna che quell’abbraccio complice di un bimbo cui badare, magari anche per poco e saltuariamente, riempie di sentimenti vivificanti e gioiosi. Ne so qualcosa anch’io e ringrazio il Signore di questo dono vitale, più potente ed efficace di ogni ricostituente o medicina empirica negli acciacchi degli anni che si rincorrono.
Ripensando alla mia infanzia ricordo con commozione le due nonne, nonna Milija e nonna Babuška; la prima, forte come una roccia e tenera come il pane appena sfornato, l’altra custode di storie e segreti che da una vita cerco di ricostruire. I nonni li ho persi molto prima che potessero entrare nei miei ricordi e sono rimasti materialmente entrambi introvabili.
Quello paterno, Mateuž, che alla mia nascita avrebbe compiuto 100 anni (nato nel 1847), chissà dove è sepolto presso la città di Wladikavkaz (Russia) già ai primi tempi del bolscevismo staliniano. Quello materno, anch’esso, mucchietto di ossa in qualche Ossario, uno tra i 60 mila militi ignoti del primo conflitto mondiale; non una tomba e un nome scolpito su una lapide. Mi sono mancati, nella mia ricerca di memorie, di esperienze che mai potrò conoscere e quindi trasmettere come patrimonio di lontane radici spezzate.
Ed oggi, quando ognuno potrebbe far sentire ai nonni il proprio affetto e riconoscenza, e usufruire della loro esperienza di vita, dove li troviamo troppo spesso i nonni?
No, non si può relegare i vecchi alla solitudine di una stanza di ricovero come se il loro amore che ha cresciuto figli e desiderato nipoti, quasi fosse una colpa da espiare! Mi chiedo dove stia andando il mondo, quando la famiglia non ha più un vero significato e sta perdendo il suo ruolo fondante.
Riccardo Ruttar
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