La lingua batte dove il dente duole, ci ricorda il vecchio proverbio, per dire metaforicamente che il pensiero corre sempre a ciò che ci fa soffrire, ciò che ci sta a cuore. E, quanto al dente – la pandemia – fa male davvero. Effettivamente questo nemico, per la sua invisibilità, assume nella mente dimensioni sovrumane, metafisiche, tali da far star male la mente, l’anima, ancor prima che possa aggredire il corpo. E ne svela la fragilità, ipoteca la vita, mettendo in forse il futuro di ognuno, proiettando immagini di paura su tutto ciò che ci sta a cuore. E crescono nella mente turbini di domande cui si vorrebbe dare risposte rassicuranti.
Ne usciremo, ci si conferma reciprocamente, comunque col dubbio che il verbo possa mutarsi in «ne uscirete». Un gioco al lotto all’inverso, e chiunque può essere tra i perdenti. Sicuramente, dopo lo sconquasso, occorrerà trovare nuovi equilibri, impostare presidi più sicuri per non ricadere in altre drammatiche avventure che il futuro ci riserva; tutti sanno che, vinto un virus, se ne presenterà un altro ancora più subdolo e agguerrito.
Va preparato il futuro, prendendo in seria considerazione di evitare gli errori che hanno portato al drammatico presente. Da questo punto di vista non credo che vi sia un’autorità più sincera, coraggiosa, globalmente aperta al valore della vita umana di chi ha il coraggio di presentare Dio creatore come padre e l’umanitàcome famiglia di fratelli e sorelle, senza primi e senza ultimi, tutti figli dello stesso padre. Le parole, gli atti, le esortazioni e le analisi dei problemi umani, con relative soluzioni, sono ben rappresentate da papa Francesco. E non gli manca il coraggio di mettere nero su bianco l’elenco delle responsabilità umane nel parossistico autolesionismo incosciente ed irresponsabile.
Ho letto sulla Civiltà Cattolica brani dell’intervista che papa Francesco ha rilasciato al giornalista inglese Austen Iverigh e mi ha colpito già la prima frase riportata: «Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà!». Parlando delle crisi in atto, senza peli sulla lingua, dicendo che «questa crisi ci tocca tutti, ricchi e poveri», ha affermato: «Mi preoccupa
l’ipocrisia di certi personaggi politici che dicono di voler affrontare la crisi, che parlano di fame nel mondo e, mentre ne parlano, fabbricano armi. È il momento di convertirci da questa ipocrisia all’opera. Questo è il tempo di coerenza». Allora non manca ancora di denunciare il male di fondo delle comunità umane. « Ma – afferma – ci vogliamo rendere conto che tutto il nostro pensiero, ci piaccia o no, è strutturato attorno all’economia! Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale… è una politica dello scarto». Accennando alla rinascente teoria economica di Malthus, vecchia di due secoli, teoria secondo cui la popolazione, in mancanza di ostacoli preventivi o repressivi (quali guerre, epidemie, carestie e simili.), tenderebbe a crescere con ritmo assai più rapido di quello dei mezzi di sussistenza, ne ha citato le conseguenze: «Lo vediamo nella selezione delle persone secondo la possibilità di produrre, di essere utili: la cultura dello scarto». E ha fatto un esempio concreto: «I senzatetto restano senza tetto. Giorni fa ho visto una fotografia di Las Vegas in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. Qui si vede all’opera la teoria dello scarto».
Si dirà che il papa esca spesso dal suo ruolo interferendo nella politica e nelle scelte dei potentati economici, ma è proprio in questi settori cha va cambiato il modo di intendere il bene comune, di tutti, senza distinzioni come distinzioni non fa il coronavirus. «Ogni crisi – afferma nell’enciclica Laudato si’ – è un pericolo, ma è anche un’opportunità, quella di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione e imparare a comprendere e a contemplare la natura».
Non è Dio che punisce l’uomo per il suo comportamento insensato e privo di scrupoli, è l’uomo, che, dimenticando la propria componente spirituale, che lo rende uomo e non animale, si costruisce il proprio destino. È tempo di ravvedimento: lo dice a chiare lettere il virus coronato!
Questo è tempo di ravvedimento_Čas je za streznitev
La lingua batte dove il dente duole, ci ricorda il vecchio proverbio, per dire metaforicamente che il pensiero corre sempre a ciò che ci fa soffrire, ciò che ci sta a cuore. E, quanto al dente – la pandemia – fa male davvero. Effettivamente questo nemico, per la sua invisibilità, assume nella mente dimensioni sovrumane, metafisiche, tali da far star male la mente, l’anima, ancor prima che possa aggredire il corpo. E ne svela la fragilità, ipoteca la vita, mettendo in forse il futuro di ognuno, proiettando immagini di paura su tutto ciò che ci sta a cuore. E crescono nella mente turbini di domande cui si vorrebbe dare risposte rassicuranti.
Ne usciremo, ci si conferma reciprocamente, comunque col dubbio che il verbo possa mutarsi in «ne uscirete». Un gioco al lotto all’inverso, e chiunque può essere tra i perdenti. Sicuramente, dopo lo sconquasso, occorrerà trovare nuovi equilibri, impostare presidi più sicuri per non ricadere in altre drammatiche avventure che il futuro ci riserva; tutti sanno che, vinto un virus, se ne presenterà un altro ancora più subdolo e agguerrito.
Va preparato il futuro, prendendo in seria considerazione di evitare gli errori che hanno portato al drammatico presente. Da questo punto di vista non credo che vi sia un’autorità più sincera, coraggiosa, globalmente aperta al valore della vita umana di chi ha il coraggio di presentare Dio creatore come padre e l’umanitàcome famiglia di fratelli e sorelle, senza primi e senza ultimi, tutti figli dello stesso padre. Le parole, gli atti, le esortazioni e le analisi dei problemi umani, con relative soluzioni, sono ben rappresentate da papa Francesco. E non gli manca il coraggio di mettere nero su bianco l’elenco delle responsabilità umane nel parossistico autolesionismo incosciente ed irresponsabile.
Ho letto sulla Civiltà Cattolica brani dell’intervista che papa Francesco ha rilasciato al giornalista inglese Austen Iverigh e mi ha colpito già la prima frase riportata: «Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà!». Parlando delle crisi in atto, senza peli sulla lingua, dicendo che «questa crisi ci tocca tutti, ricchi e poveri», ha affermato: «Mi preoccupa
l’ipocrisia di certi personaggi politici che dicono di voler affrontare la crisi, che parlano di fame nel mondo e, mentre ne parlano, fabbricano armi. È il momento di convertirci da questa ipocrisia all’opera. Questo è il tempo di coerenza». Allora non manca ancora di denunciare il male di fondo delle comunità umane. « Ma – afferma – ci vogliamo rendere conto che tutto il nostro pensiero, ci piaccia o no, è strutturato attorno all’economia! Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale… è una politica dello scarto». Accennando alla rinascente teoria economica di Malthus, vecchia di due secoli, teoria secondo cui la popolazione, in mancanza di ostacoli preventivi o repressivi (quali guerre, epidemie, carestie e simili.), tenderebbe a crescere con ritmo assai più rapido di quello dei mezzi di sussistenza, ne ha citato le conseguenze: «Lo vediamo nella selezione delle persone secondo la possibilità di produrre, di essere utili: la cultura dello scarto». E ha fatto un esempio concreto: «I senzatetto restano senza tetto. Giorni fa ho visto una fotografia di Las Vegas in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. Qui si vede all’opera la teoria dello scarto».
Si dirà che il papa esca spesso dal suo ruolo interferendo nella politica e nelle scelte dei potentati economici, ma è proprio in questi settori cha va cambiato il modo di intendere il bene comune, di tutti, senza distinzioni come distinzioni non fa il coronavirus. «Ogni crisi – afferma nell’enciclica Laudato si’ – è un pericolo, ma è anche un’opportunità, quella di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione e imparare a comprendere e a contemplare la natura».
Non è Dio che punisce l’uomo per il suo comportamento insensato e privo di scrupoli, è l’uomo, che, dimenticando la propria componente spirituale, che lo rende uomo e non animale, si costruisce il proprio destino. È tempo di ravvedimento: lo dice a chiare lettere il virus coronato!
Riccardo Ruttar
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