Nella notte dello scorso 24 agosto, qui fisicamente non abbiamo sentito nulla, ma la serie ininterrotta di notizie drammatiche dal centro Italia che descrivevano i terribili scenari dell’Appennino sconvolto han risvegliato sensazioni che si estendono a 40 anni fa. Noi che allora eravamo in Friuli, in grado di comprendere la paura e il coraggio, la disperazione e la determinazione di uscire dall’incubo, abbiamo rivissuto ora la profondità dello smarrimento di allora.
Ricordo ogni particolare di quel fatidico 6 maggio di quarant’anni fa, instabile sulle gambe come ubriaco nel cortile di casa mentre il suolo si alzava e abbassava a onde e il grande noce impazzito di un’improvvisa vita propria agitava le fronde fino a terra e la casa sembrava gonfiarsi e sgonfiarsi come il torace di un mostro. È rimasta in piedi, la mia. E io, tornata la calma dopo il frastuono, ho potuto sperimentare il tumulto interiore di chi ha scampato il pericolo, ma non sa quanto grande, esteso, catastrofico sia stato «l’orco» risvegliatosi all’improvviso. Purtroppo nei giorni seguenti le conseguenze di quella furia immane si sono manifestati fin troppo evidenti. Così come oggi ad Amatrice e dintorni! Il coinvolgimento mentale ed emotivo, per fatti vecchi di 40 anni, riprende oggi ed è come se il tempo non sia passato. Eccolo qui di nuovo, ancora.
Perché, se mi guardo indietro e rileggo le cronache, scopro una verità allarmante che crea ancor più sgomento: la terra italiana è realmente quasi tutta il dorso infido di un «orco» tremendo che si risveglia a caso, ma fin troppo spesso, per seminare distruzione e morte. Ai quasi mille morti del sisma in Friuli si devono aggiungere quelli in Irpinia (23.11.1980) che subì un’ecatombe tre volte maggiore (2.735 morti) e quelli dell’Aquila nel 2009 con allineate altre 309 bare. Per non trascurare altre catastrofi sismiche: Messina (1978); l’Appennino tra Marche e Umbria (19.9.1980) e sempre lì nella zona di Perugia (1997). Cinque anni dopo in Molise (2002), come già detto in Abruzzo (2009) e in Emilia Romagna quattro anni fa (2012) ed ora, là nell’Appennino centrale.
Quante volte ancora rivivremo lo stesso incubo? E pensare che ho citato i terremoti più distruttivi, ben sapendo che i pennini dei sismografi distribuiti sul territorio non si fermano mai. Sì, è giusto chiederselo quante volte ancora, perché il fenomeno sismico è connaturato al nostro Paese. Non è il solo suolo italiano ad avere siffatte caratteristiche sismiche sul pianeta Terra, i cui continenti sono in continua inesorabile deriva. Ma tra i Paesi evoluti ed industrializzati che affrontano, per risolverli, i problemi della sopravvivenza umana sui rispettivi territori, pare che il nostro sia assente. Sanar ferite sì, ma tutti sanno che la miglior cura sta nella prevenzione, e quella antisismica dovrebbe essere prioritaria.
L’esperienza subita nel 1976 in Friuli, qui da noi, pare abbia dato i suoi frutti e, per una volta possiamo dire che qui «l’orco» fa meno paura. Fa meno paura, finalmente dopo quarant’anni anche agli scolari ed ai genitori che compongono la scuola bilingue sloveno/italiano di San Pietro/Špietar che potranno fruire di locali antisismici. Magari con un ulteriore piccolo ritardo, vi si stanno concludendo i lavori di adeguamento. Sapere i nostri figli al sicuro, è un sentimento che si effonde impetuoso, specie di fronte alle immagini impietose di numerose piccole bare bianche che l’orco s’è preso ancora una volta. Perché non tutti i bambini d’Italia non dovrebbero sentirsi al sicuro e cavalcare «l’orco» senza il terrore sul volto?
Riccardo Ruttar
Pri nas dobro vemo, kaj je potres_Ben sappiamo cos’è il terremoto
Nella notte dello scorso 24 agosto, qui fisicamente non abbiamo sentito nulla, ma la serie ininterrotta di notizie drammatiche dal centro Italia che descrivevano i terribili scenari dell’Appennino sconvolto han risvegliato sensazioni che si estendono a 40 anni fa. Noi che allora eravamo in Friuli, in grado di comprendere la paura e il coraggio, la disperazione e la determinazione di uscire dall’incubo, abbiamo rivissuto ora la profondità dello smarrimento di allora.
Ricordo ogni particolare di quel fatidico 6 maggio di quarant’anni fa, instabile sulle gambe come ubriaco nel cortile di casa mentre il suolo si alzava e abbassava a onde e il grande noce impazzito di un’improvvisa vita propria agitava le fronde fino a terra e la casa sembrava gonfiarsi e sgonfiarsi come il torace di un mostro. È rimasta in piedi, la mia. E io, tornata la calma dopo il frastuono, ho potuto sperimentare il tumulto interiore di chi ha scampato il pericolo, ma non sa quanto grande, esteso, catastrofico sia stato «l’orco» risvegliatosi all’improvviso. Purtroppo nei giorni seguenti le conseguenze di quella furia immane si sono manifestati fin troppo evidenti. Così come oggi ad Amatrice e dintorni! Il coinvolgimento mentale ed emotivo, per fatti vecchi di 40 anni, riprende oggi ed è come se il tempo non sia passato. Eccolo qui di nuovo, ancora.
Perché, se mi guardo indietro e rileggo le cronache, scopro una verità allarmante che crea ancor più sgomento: la terra italiana è realmente quasi tutta il dorso infido di un «orco» tremendo che si risveglia a caso, ma fin troppo spesso, per seminare distruzione e morte. Ai quasi mille morti del sisma in Friuli si devono aggiungere quelli in Irpinia (23.11.1980) che subì un’ecatombe tre volte maggiore (2.735 morti) e quelli dell’Aquila nel 2009 con allineate altre 309 bare. Per non trascurare altre catastrofi sismiche: Messina (1978); l’Appennino tra Marche e Umbria (19.9.1980) e sempre lì nella zona di Perugia (1997). Cinque anni dopo in Molise (2002), come già detto in Abruzzo (2009) e in Emilia Romagna quattro anni fa (2012) ed ora, là nell’Appennino centrale.
Quante volte ancora rivivremo lo stesso incubo? E pensare che ho citato i terremoti più distruttivi, ben sapendo che i pennini dei sismografi distribuiti sul territorio non si fermano mai. Sì, è giusto chiederselo quante volte ancora, perché il fenomeno sismico è connaturato al nostro Paese. Non è il solo suolo italiano ad avere siffatte caratteristiche sismiche sul pianeta Terra, i cui continenti sono in continua inesorabile deriva. Ma tra i Paesi evoluti ed industrializzati che affrontano, per risolverli, i problemi della sopravvivenza umana sui rispettivi territori, pare che il nostro sia assente. Sanar ferite sì, ma tutti sanno che la miglior cura sta nella prevenzione, e quella antisismica dovrebbe essere prioritaria.
L’esperienza subita nel 1976 in Friuli, qui da noi, pare abbia dato i suoi frutti e, per una volta possiamo dire che qui «l’orco» fa meno paura. Fa meno paura, finalmente dopo quarant’anni anche agli scolari ed ai genitori che compongono la scuola bilingue sloveno/italiano di San Pietro/Špietar che potranno fruire di locali antisismici. Magari con un ulteriore piccolo ritardo, vi si stanno concludendo i lavori di adeguamento. Sapere i nostri figli al sicuro, è un sentimento che si effonde impetuoso, specie di fronte alle immagini impietose di numerose piccole bare bianche che l’orco s’è preso ancora una volta. Perché non tutti i bambini d’Italia non dovrebbero sentirsi al sicuro e cavalcare «l’orco» senza il terrore sul volto?
Riccardo Ruttar
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