Omaggio ai sacerdoti di Drenchia

 
 
Un omaggio ai sacerdoti sloveni che dedicarono la loro vita alla gente delle parrocchie di San Volfango e di Santa Maria di Drenchia, conservarono il ricco patrimonio di fede, di lingua e tradizioni cristiane nel comune diventato il simbolo del degrado socioeconomico del secondo dopoguerra nelle Valli del Natisone e aperta denuncia dell’abbandono subito dalle aree montane.
Saranno questi i contenuti della cerimonia religiosa, fissata per sabato 24 aprile, alle ore, 16, nella chiesa di Santa Maria Assunta di Drenchia, dove l’arcivescovo emerito di Udine, mons. Alfredo Battisti, celebrerà la santa messa e benedirà il monumento in onore di cinque sacerdoti che operarono nelle due parrocchie tra la fine dell’Ottocento e il 1989 quando, con la scomparsa di don Mario Laurencig, si interruppe la lunga generazione di sacerdoti che operarono in questi paesi montani sul confine con la Slovenia.
La proposta di numerosi fedeli di erigere in loro memoria il monumento è nata spontaneamente da molti fedeli di Santa Maria e di San Volfango ed è stata accolta con favore dalla parrocchia, da mons. Marino Qualizza che ogni domenica sale in quel di Drenchia, dal locale circolo culturale Kobilja glava e dal nostro giornale, che nel 1966 ha visto la luce nella canonica di San Volfango e per lunghi anni vi ha avuto la sede.
Tra i suoi fondatori furono don Mario Laurencig (1908 – 1989) e mons. Valentino Birtig (1909 – 1994) i cui nomi sono incisi sul monumento presso la chiesa di Santa Maria Assunta di Drenchia, assieme a quelli di don Giuseppe Gosgnach (1856 – 1904), don Giovanni Sinicco (1863 – 1918) e don Antonio Domenis (1869 – 1951).
La scritta recita: Našim duhovnikom, ki so se trudili po poti resnice in pravice, v hvaležen spomin.
Che tradotto significa: In ricordo grato dei nostri sacerdoti che si impegnarono sulla strada della verità e della giustizia.
Ricordiamo che questi sacerdoti vissero ed operarono in quel di Drenchia in tempi difficilissimi.
Ad eccezione di don Gosgnach, che morì prematuramente nel 1904, i rimanenti furono testimoni della prima e della seconda guerra mondiale, della proibizione dello sloveno nelle chiese nel 1933 e poi degli «anni bui» della Slavia, quando, tornata la libertà e la democrazia, i sacerdoti sloveni, fedeli alla loro missione e alla prassi millenaria dell’uso della lingua materna nel loro ministero, continuarono ad essere perseguitati e calunniati. Il monumento, oltre ad un doveroso omaggio e ricordo, rappresenta anche un atto di riparazione per le incomprensioni e le persecuzioni da essi subite.

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