Non un’opinione, ma tragedia_Ne gre za stališče ampak za tragedijo

Non mi è permesso visitare da un bel pezzo i parenti, i fratelli, i loro nipoti e pronipoti per il noto decreto ministeriale che chiude nei propri confini comunali di residenza chi non abbia una qualche ragione plausibile, vera o falsa che sia.

Sappiamo tutti che il decreto ministeriale è una forzatura limitativa difficilmente supportata dalle norme della nostra Costituzione, ma per cittadini razionalmente a posto e capaci di prendersi le proprie responsabilità, al fine di tutelare la propria salute e il proprio e altrui benessere, limitazioni, e non solo quelle territoriali, dovrebbero essere un autonomo segno di civiltà. I mezzi di comunicazione riferiscono abbondantemente della diffusione del contagio e le notizie non fanno che esasperare il senso di isolamento. Il pensiero fisso o ricorrente dei rischi che può far correre il contagio a parenti, amici, conoscenti, specie se in condizioni di salute precaria, è già una specie di malattia, una specie di febbre subdola che non è rilevata dal termometro ma che fa ancora più male.

Nei paesi come i nostri nelle Valli, dove le persone si conoscono e si frequentano quasi a livello famigliare, i contatti e i luoghi di possibile contatto si moltiplicano, più che in quelli dei condomìni cittadini, dove per evitare o limitare contagi in ascensori e scale forse bastano attenzione, mascherina, amuchina e molto buonsenso. Non so quanto possa aver influito anche tra la nostra gente, compresa quella in attività lavorativa, quell’atteggiamento irresponsabile e di per sé deleterio propagandato dai negazionisti, da quelli che negano perfino l’evidenza dei dati numerici degli infetti, dei ricoverati e dei morti per Covid. Ma a me viene anche un altro dubbio. Se, ad esempio, dovessi riferirmi al numero preponderante dei simpatizzanti e votanti di un certo partito, il cui capitano ha fatto di tutto per creare confusione e spargere notizie fasulle e devianti, direi che forse anche questi comportamenti abbiano esercitato una qualche influenza sulla presa sottogamba dei rischi.

Pensando proprio a quanti continuano ancora a creare confusione e disinformazione, mi verrebbe da citare da un lato il vecchio proverbio: Chi è colpa del suo mal pianga sé stesso, e dall’altro modificarne un altro: Chi rompe paga ed i cocci sono… tutt’altro che solo suoi! Lo so, sono detti fuori uso, perché al giorno d’oggi vige un’altra filosofia: nessuno paga di persona e i cocci se li cucca qualcun altro.

In questo senso mi ha fatto riflettere un trafiletto di Michele Serra nella sua rubrica di Satira preventiva,sull’Espresso del 21 marzo. Scrive: «La tendenza a considerare la morte come colpa di qualcun altro è dilagante in tutte le società del benessere. Collegi di avvocati propongono soluzioni per tutte le tasche, che permettono di sporgere causa contro ignoti in caso di decesso. Il decesso – spiegava l’avvocato Martha Garboils, del Foro di Dallas – avviene quasi sempre contro la volontà del defunto. Quindi è un tipico caso di violenza per cui si può comunque aprire un contenzioso giudiziario. Tariffe contenute».

Trovarsi in ospedali già privi di posti letto, di respiratori o di quanto serve per salvare vite, e dover scegliere chi curare per primo, proprio per i medici in prima linea, non è certo come dover eliminare un concorrente del Grande fratello. È un dramma che nessun medico vorrebbe neppur ipotizzare. E invece c’è un sacco di gente che se ne strafrega di tutto e, avendone la possibilità, neppure vuole vaccinarsi.

Era da tanto che ci pensavo, ma non volevo essere provocatorio, ad esprimere un pensiero che, se attuato, sarebbe dirompente. Mi sono detto: non vuoi vaccinarti? Snobbi il Covid come un’invenzione di apparati e poteri forti? Non vuoi usare mascherine e rispettare le opportune distanze di sicurezza proposte dalle autorità sanitarie? Ok. Se ti dovessi ammalare, avresti sì il diritto all’assistenza, ma per te, che te la sei voluta, solo presentando in contemporanea una carta di credito ben fornita o un bel mucchietto di cambiali! Lo dico alle autorità che si trovano a combattere con questi assertori della propria assoluta libertà di fare ciò che gli pare. La Pandemia non è un’opinione; è una tragedia.

Riccardo Ruttar

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