Nella riunione della Commissione consultiva regionale per gli sloveni, in considerazione delle sempre maggiori ristrettezze finanziarie in cui viene a trovarsi la componente di ispirazione cristiana, che fa riferimento al quindicinale Dom, alla cooperativa Most e all’Associazione don Blanchini, ho espresso qualche considerazione sui privilegi dei quali la componente ex comunista ha goduto nel secondo dopoguerra, potendo gestire autonomamente gli aiuti finanziari destinati a tutta la minoranza. Dopo il crollo della Jugoslavia, il fatto di dover condividere le risorse economiche non pare sia stato gradito e le conseguenze sono visibili nei continui tentativi di riappropriazione. Io non l’ho mai digerita questa invadenza e l’ho fatto capire nel mio intervento in commissione. Credevo che un commissario – tra l’altro in una riunione non aperta ai mezzi di informazione – potesse esprimere liberamente il proprio pensiero, anche mettendo i puntini sulle i, senza peraltro esprimere giudizi sulle persone, ma interpretando i fatti conosciuti. Apriti cielo! Si vede che ho colpito nel segno, affrontando argomenti scabrosi e mai risolti, a giudicare dalla reazione del commissario Pavšič, che ha minacciato di abbandonare la seduta.
A qualche giorno di distanza, ecco in evidenza sul quotidiano triestino in lingua slovena il testo di una lettera dello stesso Pavšič all’assessore Torrenti. Fuoco e fiamme per aver «trattato sgarbatamente – grobo obravnaval» la consorella Skgz ed il suo operato in provincia di Udine. E meno male che mi sono limitato territorialmente! La lettera abbonda di meriti dell’Skgz, tra i quali perfino quello di avermi dato lavoro. È vero, ma ricordo a Pavšič, che nel colloquio col mitico Šiškovič, primo direttore dello Slori, nel lontano 1979, avevo dichiarato senza mezzi termini che io avrei lavorato nella e per la comunità slovena della provincia di Udine, ma che nel lavoro non avrei mai venduto la mia coscienza e la mia libertà di pensiero. So di aver dato parecchi grattacapi all’organizzazione e non sono mancati seri tentativi di mettermi alla porta.
Comunque a Pavšič rispondo semplicemente che dando alla stampa la lettera indirizzata a Torrenti ha messo ancora una volta in mostra i propri metodi. Per essere onesto, avrebbe dovuto esporre ai lettori il contenuto, magari dettagliato, delle mie «sconsiderate considerazioni» (Torrenti aveva già sentito e capito tutto!), così tutti avrebbero potuto condannarmi, e mettermi al patibolo, o assolvermi. Ma sulla base di un loro giudizio, non di quello del presidente della Skgz – parziale e fazioso almeno quanto il mio –. E il giornale che l’ha pubblicato, che dovrebbe essere di tutti ed imparziale, avrebbe dovuto avere cura di raccogliere anche la mia opinione.
Sarebbe sempre tardi fare un’analisi storica onesta e ragionata sull’evoluzione della problematica etnolinguistica di questo pezzo di territorio abitato da sloveni e chiedersi magari se non ci sia anche qualche colpa grave nella gestione della problematica stessa, visti – come non bastasse – i risultati nelle ultime elezioni comunali dei candidati sostenuti dall’organizzazione di Pavšič.
Dopo quarant’anni di studi e riflessioni sulle nostre questioni non mi venga ad insegnare Pavšič come avrebbe dovuto essere affrontato il problema identitario nelle nostre valli per uscirne vittoriosi. Ma, l’ho capito già molto tempo fa, per gente come lui la questione identitaria è l’ultima; nelle preoccupazioni la principale non è neppure quella culturale, ma quella economica. Gestire, amministrare, controllare, mettere il cappello su ogni iniziativa… è chiaro che alla fine qualcosa si fa. Applauso!
Mi ricordo le discussioni con Paolo Petricig, ai tempi delle battaglie per affermare il diritto al pluralismo interno alla minoranza (organizzazioni, scuola, attività, ecc.). Più volte gli avevo ribadito che con la prassi del «quello che è mio, resta mio; quello che non è mio, o lo diventa o non vale!» non si va lontano. Sono stato abbastanza tranquillo fino a che non è cominciata la campagna fratricida – subdola e apparentemente logica – che passa sotto la parola «dvojčki-gemelli», prospettando risparmi e potenziamenti. Pavšič lo ribadisce ancora nella sua lettera.
Ma i gemelli da togliere di mezzo, naturalmente, non erano e non sono quelli protetti da lui. In fondo è il succo di quanto ho detto in commissione. E che Pavšič – non solo lui – si arrabbiasse era nel conto.
Riccardo Ruttar
La lettera di Pavšič dice che ho colto nel segno
Nella riunione della Commissione consultiva regionale per gli sloveni, in considerazione delle sempre maggiori ristrettezze finanziarie in cui viene a trovarsi la componente di ispirazione cristiana, che fa riferimento al quindicinale Dom, alla cooperativa Most e all’Associazione don Blanchini, ho espresso qualche considerazione sui privilegi dei quali la componente ex comunista ha goduto nel secondo dopoguerra, potendo gestire autonomamente gli aiuti finanziari destinati a tutta la minoranza. Dopo il crollo della Jugoslavia, il fatto di dover condividere le risorse economiche non pare sia stato gradito e le conseguenze sono visibili nei continui tentativi di riappropriazione. Io non l’ho mai digerita questa invadenza e l’ho fatto capire nel mio intervento in commissione. Credevo che un commissario – tra l’altro in una riunione non aperta ai mezzi di informazione – potesse esprimere liberamente il proprio pensiero, anche mettendo i puntini sulle i, senza peraltro esprimere giudizi sulle persone, ma interpretando i fatti conosciuti. Apriti cielo! Si vede che ho colpito nel segno, affrontando argomenti scabrosi e mai risolti, a giudicare dalla reazione del commissario Pavšič, che ha minacciato di abbandonare la seduta.
A qualche giorno di distanza, ecco in evidenza sul quotidiano triestino in lingua slovena il testo di una lettera dello stesso Pavšič all’assessore Torrenti. Fuoco e fiamme per aver «trattato sgarbatamente – grobo obravnaval» la consorella Skgz ed il suo operato in provincia di Udine. E meno male che mi sono limitato territorialmente! La lettera abbonda di meriti dell’Skgz, tra i quali perfino quello di avermi dato lavoro. È vero, ma ricordo a Pavšič, che nel colloquio col mitico Šiškovič, primo direttore dello Slori, nel lontano 1979, avevo dichiarato senza mezzi termini che io avrei lavorato nella e per la comunità slovena della provincia di Udine, ma che nel lavoro non avrei mai venduto la mia coscienza e la mia libertà di pensiero. So di aver dato parecchi grattacapi all’organizzazione e non sono mancati seri tentativi di mettermi alla porta.
Comunque a Pavšič rispondo semplicemente che dando alla stampa la lettera indirizzata a Torrenti ha messo ancora una volta in mostra i propri metodi. Per essere onesto, avrebbe dovuto esporre ai lettori il contenuto, magari dettagliato, delle mie «sconsiderate considerazioni» (Torrenti aveva già sentito e capito tutto!), così tutti avrebbero potuto condannarmi, e mettermi al patibolo, o assolvermi. Ma sulla base di un loro giudizio, non di quello del presidente della Skgz – parziale e fazioso almeno quanto il mio –. E il giornale che l’ha pubblicato, che dovrebbe essere di tutti ed imparziale, avrebbe dovuto avere cura di raccogliere anche la mia opinione.
Sarebbe sempre tardi fare un’analisi storica onesta e ragionata sull’evoluzione della problematica etnolinguistica di questo pezzo di territorio abitato da sloveni e chiedersi magari se non ci sia anche qualche colpa grave nella gestione della problematica stessa, visti – come non bastasse – i risultati nelle ultime elezioni comunali dei candidati sostenuti dall’organizzazione di Pavšič.
Dopo quarant’anni di studi e riflessioni sulle nostre questioni non mi venga ad insegnare Pavšič come avrebbe dovuto essere affrontato il problema identitario nelle nostre valli per uscirne vittoriosi. Ma, l’ho capito già molto tempo fa, per gente come lui la questione identitaria è l’ultima; nelle preoccupazioni la principale non è neppure quella culturale, ma quella economica. Gestire, amministrare, controllare, mettere il cappello su ogni iniziativa… è chiaro che alla fine qualcosa si fa. Applauso!
Mi ricordo le discussioni con Paolo Petricig, ai tempi delle battaglie per affermare il diritto al pluralismo interno alla minoranza (organizzazioni, scuola, attività, ecc.). Più volte gli avevo ribadito che con la prassi del «quello che è mio, resta mio; quello che non è mio, o lo diventa o non vale!» non si va lontano. Sono stato abbastanza tranquillo fino a che non è cominciata la campagna fratricida – subdola e apparentemente logica – che passa sotto la parola «dvojčki-gemelli», prospettando risparmi e potenziamenti. Pavšič lo ribadisce ancora nella sua lettera.
Ma i gemelli da togliere di mezzo, naturalmente, non erano e non sono quelli protetti da lui. In fondo è il succo di quanto ho detto in commissione. E che Pavšič – non solo lui – si arrabbiasse era nel conto.
Riccardo Ruttar
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