Fabbrica della tensione a pieno regime

 
 
A ppare talmente ovvio ed implicito, che, stavolta, siano stati gli «sloveni» di casa nostra a cancellare le scritte in italiano sui cartelli stradali bilingui nei comuni del comprensorio confinario della Benecia, che non si viene neppure sfiorati dal dubbio che, invece, ci possa essere sotto una manovra destabilizzante di più ampio respiro. Secondo l’acclarato pregiudizio diffuso sarebbe opera di qualche esagitato nazionalista «slovenofilo», nostalgico delle pretese territoriali jugoslave dei tempi di Tito.
Quando venivano imbrattate, per decenni, le tabelle e le scritte in sloveno, molti giustificavano quei vandalismi come gesta patriottiche in difesa dell’italianità delle zone di confine ed innalzavano tricolori per riaffermare l’italianità del territorio. Noi che «ci riconosciamo nella minoranza slovena» li abbiamo lasciati fare ed abbiamo continuato a ricercare il dialogo, a promuovere pacifiche iniziative culturali, a potenziare l’offerta formativa nel centro bilingue, a qualificare l’attività informativa con giornali e pubblicazioni; il tutto nel pieno rispetto delle norme e del buonsenso.
L’assurdità dell’accusa di atti vandalici di stampo antiitaliano operata da «sloveni» appare da sé. Ma sono i nostri successi sociali e culturali a dare fastidio ai mestatori di professione e loro cambiano la tattica provocatoria: qualcosa di eclatante, che faccia ribollire il magma di pregiudizi antisloveni che si stava raffreddando. Ed ecco la genialata: nelle notti senza luna si aggirerebbe per la Slavia il lupo mannaro sloveno armato di spray! Il buon giornale Messaggero, trasudante di amor patrio peloso, non trova di meglio che far da megafono al grido d’allarme. Si vagheggia sulle sue pagine di referendum e di liste di proscrizione per coloro che si riconoscono sloveni, tra cui isolare e bloccare i potenziali «lupi». E si preferisce mettere nel cassetto i numerosi documenti e le lettere di rimostranza inviati da coloro che venivano additati come autori degli imbrattamenti notturni.
Il pregiudizio è una malattia per la quale è difficile trovare dottori e medicine adeguati. È una malattia autoimmunitaria di cui soffrono questo organo di stampa e parecchi dei suoi lettori valligiani. In effetti si potrebbe ipotizzare in essi una specie di alterazione del meccanismo di difesa immunitaria, così come succede nell’organismo umano quando il sistema non riconosce come proprie le sue stesse cellule e le aggredisce, creando così anticorpi contro se stesso. La malattia diventa sistemica causando problemi seri a tutto l’organismo.
Uscendo di metafora, vale appunto la pena di specificare ancora, che i cittadini dei comuni confinari che si riconoscono «sloveni», non sono estranei all’organismo sociale complessivo; ne fanno parte a pieno titolo, come parti «sane» dello stesso. Dicendosi sloveni non solo non hanno mai rinunciato alla propria italianità, ma mai si sognerebbero di danneggiare l’organismo di cui fanno parte integrante. Chi li discrimina dimostra solo la sua ignoranza, la sua malafede e la propria malattia da pregiudizio. Il comportamento discriminatorio indica come persista nell’ «organismo» italico un morbo autoimmunitario che danneggia sicuramente coloro che vengono considerati estranei ma anche l’organismo-Italia in quanto tale.
Questi i fatti: il Messaggero Veneto pubblicava, virgolettandole, queste dichiarazioni a caldo del sindaco di San Leonardo Giuseppe Sibau: «…ho avuto modo di parlarne (dei cartelli imbrattati) con diversi abitanti; tutti erano contrariati e diversi di loro mi hanno suggerito di indire un referendum per quantificare il numero delle persone che si ritengono appartenenti alla minoranza slovena». Due giorni dopo viene dato spazio al consigliere regionale Roberto Novelli che rincara la dose a carico della «minoranza slovena», oltretutto rea di avere «finanziamenti non indifferenti»; come dire: è una congrega di teppisti, profumatamente pagati e… fedifraghi. Ai numerosi scritti di replica della «minoranza», il bavaglio. Seguono altri articoli contro i «vandali» ma viene ignorata la notifica di una denuncia ai carabinieri da parte di esponenti della comunità slovena.
A tempi scaduti, in cronaca di S. Pietro al Natisone, quattro colonnine per racimolare accenni della protesta di chi, accusato, rivendicava un elementare diritto di replica per autodifesa. Il tutto, però, contrappesato da una paginata riservata ai professionisti della diatriba linguistica valligiana e resiana.
Per scrupolo ho voluto contattare personalmente Giuseppe Sibau, colui che, più o meno presago delle conseguenze delle sue esternazioni, ha lanciato l’idea del referendum dei rei di “slovenità”. «Sono stato accusato di aver chiesto un referendum…? Leggete bene l’articolo. Io non ho chiesto il referendum. Quella mattina, venendo in municipio dal panificio ho incontrato tre persone arrabbiate. Io ho riportato la loro richiesta in questo senso».
Vox populi vox Dei. Lodevole che la gente voglia isolare i delinquenti, ma dovrebbe esserle impedito di passare direttamente al linciaggio sulla base di assurdi pregiudizi
E il referendum? Quale la richiesta da sottoporre al popolo? Potrebbe suonare così: «Vuoi che ai cittadini italiani che si ritengono appartenenti alla comunità slovena, venga fatto obbligo di cucire sul vestito il simbolo del rametto di tiglio?» Sì / No. Io personalmente lo porterei proprio per denunciare quanto idiota e anticostituzionale sia ogni discriminazione «di razza, di lingua, di religione, di …» (art. 3).

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