E ora va in onda la vita in differita

Come nelle favole, in un poco conosciuto Paese del lontano Oriente un re, che la pensava giusta, tentò di attuare una specie di rivoluzione copernicana nel mondo sociale del suo paese. La rivoluzione potrebbe essere espressa in una semplice frase, che è una constatazione intuibile e insieme un’accusa e una sfida al resto del mondo. «Se Il Pil (Prodotto interno lordo) calcola tutto, meno ciò che dà valore alla vita, è il caso di cambiare visioni e obiettivi».

Era il 1972 quando il re del Buthan, Jigme Singye Wanghchuk, senza sottovalutare il Pil, volle proporre ed attuare nel suo piccolo paese il Fil (Felicità interna lorda). In pratica egli proponeva uno standard di vita alternativo a quello del Pil che imperversa come valutazione sovrana del grado di sviluppo e del benessere degli Stati a livello mondiale.

Come ognuno può leggere su Wikipedia, «Il Bhutan, piccolo stato montuoso dell’Asia, già da anni adotta come indicatore per calcolare il benessere della popolazione il Fil. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Secondo alcuni dati questo paese è uno dei più poveri dell’Asia, con il Pil pro capite di 2.088 dollari (dato del 2010). Tuttavia, secondo un sondaggio, è anche la nazione più felice del continente e l’ottava del mondo. Gli ideatori di questo indice non mirano ad una “retrocessione”, cioè non vogliono passare per anti-tecnologici o anti-materialisti, ma il loro programma punta a migliorare l’istruzione, la protezione dell’ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali».

Pensiamo cosa potrebbe succedere in questo povero mondo, votato all’autodistruzione per eccesso di incoscienza, se ogni Stato a livello planetario prendesse come regola della vita sociale, politica, economica, culturale, il benessere dei cittadini, quindi attuasse, magari anche non in modo drastico, l’indicatore di Fil. Indicazioni di questo genere potrebbero essere rivalutate sulla base delle stesse matrici religiose, e non solo dal cristianesimo e dalle fedi monoteiste. A trasporre in termini politici – intendendo la politica con la P maiuscola – i messaggi del Papa, magari non avremmo in terra la «città ideale», l’Eden sognato e perduto, ma un’umanità consapevole e responsabile del proprio destino. E in tal senso non insegna e sollecita solo lui tra le personalità degne di rispetto e cariche di afflato profetico, rimaste vigili nel mondo in cui viviamo attualmente.

Il Dalai Lama quale convinto sostenitore della Fil ebbe a dichiarare: «Come buddhista, sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità. Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali.

«Penso – proseguì il Dalai Lama – a una completa trasformazione della mente, coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. A livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità».

Saranno, o forse lo sono già ora, per le stesse drammatiche circostanze in cui si trova il mondo nell’emergenza del Coronavirus, a indicare quali siano le priorità che le nazioni dovrebbero imporsi forse proprio perché, anche le più evolute nella loro presunzione della propria sicurezza, sperimentano oggi una fragilità ed una insicurezza che tende a sfociare nella patologia. «Te uči, tuo k’ muči/Ti insegna ciò che tace», sentenziava mia nonna, di fronte ad eventi inattesi, come dire «impara e preparati a cogliere i segnali non evidenti a prima vista».

Che molti guai del mondo di oggi siano da ascriversi all’imprevidenza o alla sottovalutazione dei segnali che la Terra violentata continua a manifestare, se ne accorgono e ne interpretano il grido personaggi come Greta. Con essa la «Scienza», quella responsabile e non condizionata da multinazionali e da politici irresponsabili, ne conferma i presupposti e le nefaste conseguenze. Sono solo questioni di salute pubblica, risolvibili dalla scienza con qualche perdita di vite, le epidemie o pandemie che ogni tanto imperversano e mettono in forse le tante fittizie sicurezze? Il mondo è interconnesso con ogni tipo di comunicazione relazionale. In poche ore si può fare il giro del mondo. E quando persone e merci si spostano tra continenti più velocemente della rotazione terrestre, qualsiasi oggetto o fenomeno, come pure le patologie, non trovano più limiti, neppure ai livelli draconiani della Cina che blocca in quarantene centinaia di milioni di persone. La situazione di per sé richiama la necessità di un ripensamento dei rapporti sociali nell’evidenza che oggi o si sta bene tutti – e non solo in salute – , o l’umanità intera cade nel vortice dell’autolesionismo catastrofico. Coronavirus insegna.

Oggi siamo di fronte a qualcosa che va al di là delle banali paure del diverso, del clandestino, dell’immigrato di colore. Sono giuste, opportune ed indispensabili le misure previste per opporsi alla diffusione esponenziale del virus, ma le stesse sono di una pregnanza sociale inverosimile. Stabilite quasi per legge le distanze fisiche dal «prossimo», dal vicino, misurate in metri; niente strette di mano, men che meno il precetto evangelico del «darsi una mano»; non baci e abbracci, niente di confidenziale; ogni persona, indistintamente, è un potenziale pericolo; non preghiera comunitaria, vietata ogni condivisione nelle manifestazioni religiose, culturali, sportive, conviviali. Una situazione in espansione a livello mondiale, un big bang che sfida ogni forza di gravità a partire dal fulcro cinese. E nelle persone spaventate la razionalità si perde in elucubrazioni e calcoli mentali che sfidano e irridono la stessa scienza medica, cadendo a capofitto nella psicopatologia. Le conseguenze sono nefaste e dagli sviluppi del tutto imprevedibili, non solo sul piano economico, bensì su tutte le dinamiche esistenziali.

Ci sarà, magari, un potenziamento del fenomeno dei social già troppo in voga tra i giovani, quando essi si sostituiscono alla vicinanza fisica. La vita in differita, vita sociale virtuale, in streaming. Basta alle nazioni del mondo valutare il benessere umano sul Pil? Aiuta parecchio per poter accorgersi dei disagi, dei drammi, delle tragedie delle guerre, delle povertà, delle malattie, delle siccità, delle migrazioni bibliche. A non preoccuparsene e a non provvedere oggigiorno non la pagano solo i poveracci, ma anche i ricchi e benestanti. Perché, a pensarci bene, anche i ricchi, multinazionali comprese, potrebbero piangere quando non potranno più spremere soldi ai meno ricchi e sangue ai poveri. Va colto il segnale forte e chiaro del Coronavirus.

Riccardo Ruttar

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