Don Olivo da Robič capitano_delle milizie altozoldane_e cappellano garibaldino

Concludiamo, per il momento, la lunga serie di articoli dedicati al Risorgimento nella Slavia friulana e alle persone degne di nota che la comunità slovena ha espresso in quell’epoca in campo religioso, culturale, sociale, economico e scientifico, con una «chicca» che interesserà gli sloveni al di qua e al di là del confine, ma anche quanti si occupano della storia di quel periodo.

Ho provato a fare un breve sondaggio tra i cultori di storia della Valle dell’Isonzo, ma nessuno conosceva la vita e le gesta di don Luigi Olivo, originario di Robič, il piccolo paese di confine in comune di Kobarid / Caporetto, «capitano delle milizie altozoldane nel 1948 e cappellano garibaldino» come recita il sottotitolo dell’opuscolo di 44 pagine trovato per caso su una bancarella del «Baule del diavolo» di Cividale.

Autore della pubblicazione, che porta il titolo «Don Luigi Olivo da Caporetto» ed è stata pubblicata dalle Arti grafiche friulane di Udine nel 1949 «nell’anniversario dei 120 anni delle imprese zoldane e dei 50 anni della vittoria di Vittorio Veneto», è Renato Fioretti, membro accademico dell’Ateneo veneto di Venezia.

La famiglia Olivo – pri Titu abitava al n. 48, oggi n.3, di Robič, l’antica osteria del paese, che in passato svolgeva anche servizi di posta, cambio cavalli, ristoro e pernottamento. Già prima dell’Ottocento, la locanda apparteneva ad un certo Giovanni Battista Olivo, chiamato familiarmente Tito, che sposò Lucia Cencič del paese.

Di Giovanni Battista Olivo – Ivan si narra che fu lui il giovane che da Robič guidò le truppe francesi all’inseguimento degli austriaci in fuga verso Bovec e le sue chiuse.

Da quel matrimonio nacquero cinque figli: Luigia (1908), Antonio (1811), Rosa Maria (1812), Lorenzo Luigi (1815) e Anna Angela Caterina (1818). La famiglia si estinse con Antonio, il quale, non avendo figli, accolse in casa un certo Ivan Volarič di Vrsno che si sposò e diede inizio ad un’altra discendenza.

Lorenzo Luigi nacque il 10 agosto e fu immediatamente battezzato in casa, per pericolo di morte, dal cappellano di Kred, don Mihael Paulin. Il 17 agosto il rito fu ripetuto solennemente nella chiesa di S. Nicolò di Kred con il concorso dei padrini Paolo Artisani e Giovanni Battista Galliussi di Cividale. Da questo fatto si presume che la famiglia Olivo avesse origini cividalesi o, per lo meno, avesse continui contatti con persone della città.

Sull’infanzia e gli studi di Luigi Olivo le fonti sono mute o quasi. Si sa che nel 1839 l’Olivo frequentava, come esterno, il primo anno di teologia a Gorizia e che fu ordinato sacerdote negli anni 1842-43. Il 5 settembre 1847 lo troviamo nel Bellunese, e precisamente a Mareson di Zoldo Alto, proveniente da Càdola di Capo di Ponte, dove era stato cooperatore «incarico – lasciò scritto – che per interessi abbandonai, e cioè per giovare ad una mia sorella rimasta vedova con tre figli».

La cura di Mareson, «dipendente allora dal pievano di Fusine, era di poca popolazione, modestissima e don Luigi vi beneficiava di diritti di funerali, ordinazioni di messe, ecc. […] Inoltre la mansioneria era nata stentatamente tra ricorsi e controricorsi dei regolieri e parroco e perciò le risorse economiche erano scarse» (p. 20).

Tra quelle montagne don Olivo respira l’aria risorgimentale che si stava diffondendo e si entusiasma all’idea della ricostituzione della Repubblica di Venezia. «Si mette ad instillare, come egli stesso racconta, i doveri della patria; è soddisfatto di trovare molta rispondenza da parte di tutti nell’avversare il tirannico governo austriaco. Arrivato da Venezia il 1° aprile del 1848 l’ordine di formare in ogni distretto il proprio municipio e comitato, don Luigi si adopera per organizzare la milizia e l’armamento, quale capitano della guardia civica dell’Alto Zoldano» (p. 21).

Sulle gesta guerresche di don Olivo la pubblicazione del Fioretti non si dilunga e ricorda solo che «sono ben note le prodezze dei ribelli delle Alpi, sotto il più ampio coordinato comando di Pier Fortunato Calvi, che per ben 40 giorni tennero testa all’urto ostinato di tremila soldati dell’Austria. Nelle sue memorie il prete di Robič scrive: « Chiesi pure delle armi (al comitato di Belluno), si rispose che a voi delle montagne, non v’abbisognano, perché potete difendervi con le falci, forche e sapi… così Zoldo può dire che tutto quello che fece, fece di suo…» (p. 22).

Alla rivoluzione del 1848-49 seguì un duro periodo di repressione. A don Olivo gli austriaci sequestrarono perfino la carabina per la caccia. Di questo il sacerdote si lamenta con una nobile signorina di Longarone: «Sappia che almeno in questi due mesi potei sollevare colla caccia lo abbattuto spirito mio, ma con l’esecrabile decreto, mi viene tolta anche quella…».

Spirito inquieto e deluso dalla sconfitta degli insorti veneti, don Olivo abbandona la Val di Zoldo e parte per il Piemonte, dove la sua presenza viene segnalata il 22 agosto 1849, giorno della capitolazione di Venezia.

Da quell’anno di don Olivo non si hanno notizie precise: nel 1853 lo troviamo mansionario a Paderno di San Gregorio nelle Alpi (Bl), ma dal gennaio 1857 di lui non si hanno più notizie nel Bellunese. «Facilmente don Olivo, a conoscenza di quanto si preparava in Piemonte ed annusando da lontano odor di polvere di cannone» emigrò in Piemonte «entrò come cappellano nell’armata sarda e prese valorosomente parte alle battaglie della nostra Indipendenza», come scrisse la signora Rosa Celotta di Longarone (pp. 36-37).

Nel1859, infatti, lo troviamo cappellano del 51° reggimento fanteria dei Cacciatori delle Alpi, composto in buona parte da fuorusciti dalle altre regioni. Con questa formazione, al comando del generale Giuseppe Garibaldi, partecipò alla seconda (1859) e alla terza guerra d’indipendenza (1866) conseguendo cinque medaglie.

«Don Olivo, per l’importante incarico conferitogli, che lo assegnava alla stretta cerchia dei collaboratori di Garibaldi […] conobbe tutte le personalità del volontariato risorgimentale attivo e tra queste il capitano De Cristofori, che sbaraglia alla baionetta nei pressi di Casale, una colonna austriaca, morendo poi nell’azione di San Fermo» (p.32).

Come cappellano don Olivo faceva parte dello Stato maggiore dei Cacciatori delle Alpi composto da 15 alti ufficiali, ai diretti ordini di Garibaldi. «Ecco dunque ancor rimbalzare sulla cresta dell’onda, quale cappellano addetto allo Stato maggiore garibaldino, con autorità su tutti i sacerdoti e religiosi, don Luigi» (p. 33).

Terminate le campagne per l’indipendenza, don Olivo torna nel Bellunese come «cappellano d’armata in disponibilità o in pensione» (p. 37). Ma nel 1870 fu condannato, per baruffa in un’osteria di Belluno, al pagamento di una salatissima multa. I suoi amici gli consigliarono di sparire dalla città. «Per farla breve sparì chiatto chiatto, come un bel dio della Grecia, nessuno lo vide morire né il suo corpo fu mai trovato».

Della fine di don Olivo non si sa nulla neanche nel paese di origine dove il Fioretti andò a cercare notizie sul suo conto. L’autore cita solo la testimonianza della pronipote Mara Konavec – pri Batiœtuti di Tolmino: Non so nulla di dove e quando è morto il mio prozio duhovnik Alojzij, del quale ne sentii vagamente accenare dai miei congiunti […] Anche quelli che abitano ora pri Titu di Robič non conoscono; sono cose troppo lontane del tempo passato, delle quali non ci siamo interessati», conclude sorridendo Mara (p. 39).

 

Deli članek / Condividi l’articolo

Facebook
WhatsApp