Contro l’abbandono del territorio montano

 
 
Terreni incolti e abbandonati in montagna, il Consiglio regionale ci riprova! Per nulla scoraggiati dalle faticosissime esperienze delle legge regionale 13/2001 e della legge sul riordino fondiario dell’era Illy (entrambe hanno prodotto poche e molto macchinose sperimentazioni), ora ci riprova l’intera maggioranza di centrodestra con un disegno di legge che è stato presentato martedì 19 gennaio in II Commissione, e approderà nella prima settimana di febbraio al Consiglio delle autonomie con l’ambizione di arrivare a tutta velocità all’approvazione in aula. Ma quali sono i contenuti? Ne parliamo col primo firmatario, il consigliere Franco Baritussio del Pdl, già sindaco di Tarvisio.
«Il presupposto è il pericolo che l’abbandono del territorio montano possa comportare per la salute pubblica, dei cittadini — spiega Baritussio —. Ci interessa la tutela del paesaggio, come il rilancio delle attività agroforestali, ma prima di tutto abbiamo pensato al proliferare nei campi incolti di zecche e animali nocivi, agli incendi nei boschi, al degrado idrogeologico del territorio non sfalciato e fresato. Per evitare questi problemi l’unica via è il recupero di porzioni del territorio anticamente utilizzate per le attività agricole e di pascolo, dando stimolo e linfa al territorio montano. Questa proposta di legge dà uno strumento ai comuni che molto spesso non hanno potuto procedere per le resistenze o per l’irreperibilità dei proprietari».
Come risolvete il problema della proprietà dei terreni abbandonati?
«Facendo leva, come soggetto promotore, sull’istituzione di riferimento per il territorio, il Comune. Quest’ultimo potrà destinare al recupero dei terreni incolti delle risorse che arriveranno soprattutto dalla Regione. Può svolgere l’intervento in proprio, oppure affidarlo ai proprietari stessi o a soggetti terzi concessionari in affido, qualora il proprietari non vogliano o non possano attuarlo. L’affidamento a terzi può essere volontario, con il consenso del proprietario, ma anche, se ci sono dei problemi, può essere concesso d’ufficio dal Comune, con la finalità della tutela della salute pubblica. A monte ci deve essere l’approvazione di uno strumento urbanistico, o con una modifica del piano regolatore o con una più leggera variante urbanistica non sostanziale agli strumenti di pianificazione comunali, che determini le aree che in futuro possono essere oggetto di questi interventi, da svolgere poi in modo graduale. La legge distingue tra aree primarie, dove c’è vegetazione arborea e arbustiva, e aree secondarie, dove ci sono solo prati incolti».
Quali attività incentiva la proposta di legge?
«Si va dal semplice sfalcio del terreno incolto alla fresatura, trinciatura e decespugliamento, fino ad arrivare al taglio di ceppaie o alberi che si sono sviluppati in modo improprio su terreni che devono essere recuperati. L’insediamento di nuove attività umane diventa essenziale affinché i risultati ottenuti in questo modo non siano solo provvisori o estemporanei. La legge per questo dà la possibilità di affidare al soggetto attuatore dell’intervento l’incarico di mantenere il terreno per un periodo fino a 5 anni in condizione di prato o pascolo, secondo le antiche finalità, con l’attivazione di attività produttive. Questa è la grande sfida».
Avete in mente dei modelli?
«Penso ad esempio a delle iniziative del Land della Baviera a favore delle imprese giovanili in montagna, con la concessione di contributi ad operatori che vogliano allevare le capre, utilizzate anche per pulire e tenere in ordine prati e pascoli. Il latte prodotto viene poi venduto come sostitutivo del latte materno. Si è creata una filiera veramente interessante. E per questo la proposta di legge incentiva l’insediamento su questi terreni recuperati di attività di allevamento».
L’affido a una persona terza come incide sui diritti di proprietà?
«La legge è chiara. Non vengono toccati i diritti di proprietà. In ogni caso il concedente in affido non perde la titolarità del bene. Può capitare, come è successo dove delle amministrazioni comunali hanno già tentato interventi del genere, che possa nascere un contenzioso e che il proprietario neghi l’accesso al fondo. Questa norma ha proprio lo scopo di superare in modo chiaro queste situazioni, dando uno strumento legittimo alle pubbliche amministrazioni per occupare un terreno che crea problemi alla salute pubblica, e dando poi strumenti economici per migliorarlo».
Non è la prima volta che la Regione interviene sul tema dei terreni incolti in area montana. Cosa le fa pensare che andrà meglio dei deludenti tentativi precedenti?
«Il fatto che si ricorre ad uno strumento urbanistico comunale che dovrebbe facilitare l’accesso ai terreni, pur senza andare ad incidere sulla proprietà. Sta poi agli amministratori individuare le aree da recuperare e promuovere anche un ragionamento culturale, di coinvolgimento e partecipazione della gente sul territorio. E in secondo luogo perché si punta a recuperare antiche attività economiche della montagna. Noi legislatori non abbiamo sempre una coscienza perfetta di tutta la normativa pregressa, ma grazie al rapporto con gli uffici regionali abbiamo potuto ragionare sulle modalità utili per fare un passo in avanti rispetto al passato».
Ma la Regione è in grado di mettere in campo quei fondi che possono far camminare questi progetti?
«All’inizio l’applicazione della legge sarà ovviamente sperimentale e graduale. Nasce in un momento di crisi economica in cui la Regione non è in grado di mettere a disposizione cospicue risorse per le nuove norme, ma bisogna partire e metterla alla prova. Questa legge può anche funzionare a costo zero. Ci sono Comuni montani che hanno già avviato simili iniziative con fondi propri o addirittura con il concorso economico dei proprietari dei terreni. Questa legge può iniziare a costituire un volano per questo tipo di progetti, e in seguito credo che la sensibilità degli amministratori regionali darà carburante a questa norma con una progressione graduale».

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