Ci sono le premesse per un risveglio_Obstajajo predpogoji za prebujanje

Di recente, sul quotidiano sloveno Primorski dnevnik è uscita un’intervista al ricercatore geografo Milan Bulfon, dal titolo «Sproti se je asimiliralo 85% priseljenih Slovencev», cioè – traduco a senso – : «Progressivamente si è assimilato l’85% degli sloveni arrivati in città». Si parla di Trieste. L’occasione è stata la pubblicazione del di lui corposo volume monografico Tržaški Slovenci – Zgodba nekoč največje slovenske urbane skupnosti. Gli sloveni triestini – Storia della più grande comunità slovena urbana. Tra i temi trattati l’intento è di presentare un quadro dell’evoluzione o magari dell’involuzione di questa comunità ora minoritaria, nel tempo trascorso fino alla condizione odierna.
Nelle 500 pagine del volume si legge l’immagine quasi filmica di mondi distinti che popolano, vivono, abitano, costruiscono lo stesso ambiente fisico, economico, sociale e culturale; mondi con un passato, neppure tanto remoto, particolarmente contrastato quando non estremamente violento.
Assimilazione. È un fenomeno psicosociale particolarmente variegato che tutte leminoranze, specie quelle etniche e linguistiche,cercano inutilmente di contrastare e che le maggioranze, magari non dichiaratamente xenofobe, favoriscono in tanti modi col loro potere discriminatorio e cogente.

In questo rapporto tra minoranza e maggioranza non conta solo ciò che fanno i poteri costituiti, quanto più ciò che non fanno; l’omissione di provvedimenti adeguati già previsti dalla stessa Costituzione repubblicana diventano gli strumenti più efficaci per fiaccare ogni resistenza, per svuotare le poche riserve di cui la minoranza può disporre. Basta vedere gli effetti attuali di questa politica e non solo nei confronti delle minoranze linguistiche. Così si crea lo spazio e si creano le premesse di ogni assimilazione favorendo anche processi che potremmo definire come sindrome di Stoccolma, l’identificazione coll’aggressore. Il fenomeno si sviluppa, si evolve da sé.
Ho tra le mani un vecchio libro pubblicato nel lontano 1984, che tuttavia è tutt’altro che vecchio o sorpassato per il suo contenuto:L’assimilazione silenziosa – Dinamica psicosociale dell’assimilazione etnica, opera del compianto psicologo Danilo Sedmak e del prof. Emidio Sussi. Assimilazione e crisi identitaria… lente e silenziose. L’articolo citato mi ha riportato a questi studiosi ed a questa tematica di cui, tra l’altro, ho già scritto sei mesi addietro su questo stesso periodico uscito col titolo: «C’è il rischio di un’identità folcloristica». Certo, non mi ha meravigliato quell’ottantacinque per cento per Trieste conoscendo, almeno in parte, le vicende storiche del territorio, e quasi d’istinto mi spinge al confronto con la situazione beneciana. Ci sono ovvie analogie ma anche significative differenze. Ho constatato da sempre quali e quante opportunità per una qualche autodifesa e un’auto identificazione possedevano, avevano ed hanno a disposizione gli sloveni triestini nel confronto con noi sloveni della provincia di Udine.

Per quello che ci riguarda, come prima minoranza alloglotta inclusa nel Regno d’Italia dopo il plebiscito del 1866, abbiamo subito una particolare «attenzione», per non dire di violenza assimilatrice, da parte dei poteri costituitisi da allora in poi. Se abbiamo resistito fino ad oggi, magari anche in percentuale meno numerosi del rimanente 15% di triestini non assimilati, potrà esser dovuto alla marginalità ma anche ad un qualcosa di più indefinito, ad una volontà radicale, ad un legame all’ambiente fisico modellato, cesellato, caparbiamente sfruttato in ogni suo anfratto, valutato come elemento di vita. Sentivamo il territorio, tutto l’ambiente materiale ed immateriale come nostro a cui noi stessi eravamo legati da una memoria storica plurisecolare. Quando lo stesso ambiente, conosciuto, amato, accarezzato nei suoi prati, zappato zolla per zolla nei campicelliterrazzati, protetto nei suoi ruscelli, torrenti,sorgenti e sentieri, ha manifestato la propriainadeguatezza per via della nostra intrinsecadebolezza, la gente ha dovuto cercare i mezzi di sussistenza là dove poteva. Nelle istituzionipolitiche, civili, economiche non ha trovato sostegno tranne che in quel manipolocoraggioso di sacerdoti che chiamammo «Čedarmaci», eroici come il protagonista capellano Čedarmac del romanzo di France Bevk e i resistenti alla stregua di Dorič – Isidoro Predan.
Non è una novità per nessuno come questo nostro piccolo mondo abbia iniziato a decomporsi: i più intraprendenti, per ripetere come un mantra, «s trebuhan za kruhan – con la pancia dietro al pane», se ne sono andati; guarda caso prima le donne come dikle – serve, seguite dai maschi nelle miniere belghe o nei boschi canadesi. Un particolare fenomenosociale ha colpito il nostro territorio, credosconosciuto altrove, in corso per tutto l’ultimoquarto del secolo scorso e parzialmente ridimensionatosi in seguito. Ci siamo trovatiuna popolazione con una forte scarsità di femmine in età feconda ed oltre la metà dei maschi con lo stato civile di celibi. Più che l’emigrazione numerica «poté» il tracollo delle nascite e l’incremento inarrestabile dei camposanti. Ci fu la resistenza da parte dei non assimilati, si ottenne finalmente il riconoscimento dello Stato della comunitàslovena sul confine orientale ma solo all’inizio del terzo millennio. Fu la scuola bilingue a Špietar – San Pietro al Natisone come primaria pianta promettente di un possibile futuro. Come dire: pochi ma buoni.
C’è speranza che si possa avverare un sogno. Un segno c’è, anche se magari ancora un «sogno», di un possibile futuro da ricostruire e consolidare. L’abbiamo visto rappresentato dal messaggio che i giovani beneciani hanno trasmesso dal palco del teatro cividalese «Ristori» nel 60° «Dan emigranta», giornata dell’emigrante il giorno dell’Epifania. Un vento di ripresa di un’identità che andrebbe al di là dei vecchi parametri. Un’assimilazione rivista negli ideali, che assume contenuti e connotati nuovi, aperti ed inclusivi, valoriali, visti come antidoto al vuoto di un inurbamento massificante e di per sé alienante, vuoto di qualsiasi identità e privo di un qualche senso di appartenenza. Magari non solo un sogno; le premesse per un risveglio ci sono.

Riccardo Ruttar

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