Tradicionalno beneško pustovanje parhaja iz starih paganskih cajtu, kàr so naši predniki praznovali prehod iz zime na pomlad. Z rapotanjam in vriskanjam so zbujali zemljo iz zimskega spanja. Tudi oblieke in obnašanje »te gardih« in »te liepih« upodoblja zimski in pomladni cajt. Na nieko vižo tudi venčno vojsko med te dobrim in te hudim, ki spremlja celo človieško življenje. Tuole pravijo etnologi, ki raziskujejo in arzlagajo naš pust. Furlanski etnograf Valter Colle že vič liet opozarja tudi na podobnost med našim Pustam in Arlecchinam. Oba sta obliečena v farbane cunje, imata okuole sebe klimpace al’ kravje zvonuove, v rokah daržita palco al’ lesene klieœše, na glavi nosita klabuk in maškero na obrazu. Oba jih uganjata vsake sorte. Arlecchina so Benečani vnesli v umetnostno komedijo improvizacije (»commedia dell’arte« po italijansko) v 16. stuolietju, kàr so ble Nediške doline pod Beneško republiko. Zatuo je lahko ruonški al’ marsinski Pust »oče« od Arlecchina. Ratalo je samuo, de so ga nomalo popravili in olieušali, de bo stopu na miestne gledališke odre pred beneške gaspuode.
Arlecchino è nato nelle Valli del Natisone ed è sbarcato nella commedia dell’arte a Venezia nel 1500, quando la città lagunare era la fiorente capitale della Serenissima Repubblica e, dunque, della Benečjia, terra di Benetke/Venezia, appunto. Il Pust della Slavia – ancora vivo soprattutto a Mersino e Rodda – può essere, dunque, considerato il padre dell’Arlecchino veneziano? La teoria è suggestiva, ma nient’affatto campata in aria. Infatti, guardando con attenzione il Pust, maschera tipica del carnevale delle valli del Natisone, non si può non notare l’incredibile somiglianza con Arlecchino. «Analizzando le due figure, l’affinità è evidente: se Arlecchino ha il “batocio”, il bastone, il Pust ha le tenaglie (o in alcuni paesi il bastone); se il primo ha dei campanelli sui fianchi, il secondo ha i campanacci intorno alla cinta; entrambi hanno il costume variopinto, fatto con dei pezzettini di stoffa colorata cuciti insieme, il cappello e il volto coperto per metà da una maschera nera; entrambi sono elementi disturbatori, demoniaci», fa notare l’etnografo friulano Valter Colle. Pust e Arlecchino sembrano proprio la stessa figura. Solo che per far diventare del Pust un personaggio della commedia dell’arte e renderlo più facilmente rappresentabile ed esportabile è stato necessario stilizzarlo, cambiandone alcuni tratti. In ogni caso, questo personaggio carnevalesco è molto diffuso lungo tutto l’arco alpino, con caratteristiche molto variabili da zona a zona. Nel 1500, Venezia che era uno dei porti commerciali più importanti al mondo, subì un forte inurbamento con le popolazioni provenienti dall’arco alpino. Con sé portarono in città gran parte del loro bagaglio culturale. Come si è passati dal culto primordiale all’arlecchino a quello della commedia dell’arte e quindi al carnevale? Colle spiega che durante il Medioevo, per le strade si svolgeva il «teatro dei misteri», ovvero delle rappresentazioni religiose che avevano il compito di istruire religiosamente e, in alcuni casi, di convertire il popolo. Nel 1500, questa pratica viene espulsa dalla chiesa e trova asilo nell’unica manifestazione che poteva accogliere questo tipo di rappresentazioni: il carnevale. Per questo ancora oggi, non solo nelle valli del Natisone, ma in molti altri luoghi, le maschere caratteristiche sono quelle che rappresentano l’angelo, il diavolo, le varie personalità del mondo ecclesiastico. Come sottolinea l’etnografo, non si tratta della rappresentazione della stessa tipologia di maschere, ma sono le maschere a rappresentare, piuttosto, la condivisione di un certo di tipo di spiritualità, tramandato con il «teatro dei misteri».