Ritorna il racconto, per alcuni il mito perenne del paradiso perduto; perenne, perché può adattarsi a diversi luoghi e situazioni. Uno di questi è certamente la Benecia, da tutti salutata come l’ultima delle terre promesse, per la salubrità dell’aria, il fresco dei boschi, la purezza dei ruscelli e delle sorgenti d’acqua, la varietà dei frutti, in specie le mele. Proprio da queste sono state attratte le novelle Eve, che dagli alberi proibiti hanno staccato il prezioso frutto, per mangiarlo certo, ma dato che si trattava di quintali, non potevano trangugiarlo da sole, e così si sono date al commercio. Non abbiamo notizie di castighi terrestri, di quelli celesti non osiamo parlare, ma la cosa non deve rimanere impunita, perché rinnova antichi soprusi compiuti ai danni dei Valligiani, quando i prati erano più estesi ed i castagni, in questa stagione, davano i loro frutti generosi e saporiti. Se ne sono accorti anche i forestieri che hanno invaso valli e monti, animati da uno zelo purificatore: hanno pulito tutto, inalberandosi pure, se i proprietari non erano soddisfatti di questa pulizia. Com’è strano questo mondo! E continua ad esserlo, perché questo paradiso continua ad essere espropriato da vicini e lontani, magari invidiosi se sul Matajur rischia di arrivare qualche tappa importante, non importa di che cosa, ma comunque importante. No, la Benecia deve continuare a dare e non deve pretendere, perché a ciò non è stata destinata. Anzi deve essere perfino riconoscente per quel che le è tolto, magnificando al sommo qualche piccolo beneficio del passato. Tanto siamo abituati a piegare il capo. E invece la storia non può continuare così, perché dobbiamo diventare i cherubini che difendono il loro paradiso, come nello straordinario racconto biblico. Se faremo nostro questo proposito, potrebbe succedere nuovamente qualcosa di bello per le nostre valli e soprattutto sarebbero valorizzate tutte le iniziative che da decenni accompagnano la nostra vita. Solo che è necessario un salto di qualità ed una maggiore presenza nella società civile, per marcare la nostra azione e mostrare quella determinazione indispensabile per i nostri tempi. Abbiamo degli illustri predecessori, uomini che hanno lavorato perché giungesse fino a noi, il più possibile intatto, il nostro patrimonio che costituisce la nostra carta d’identità e anche il progetto per il futuro. Ritroviamo le stesse motivazioni, fatte di consapevolezza, di cultura, di fede perché il paradiso che ci è stato affidato, possa fiorire, crescere e portare i suoi frutti, non per la rapina altrui, ma per il nostro bene. (Marino Qualizza)
V uvodniku tiskane izdaje Doma z dne 15. oktobra, odgovorni urednik msgr. Marino Qualizza se odziva na krajo velikih količin jabolk, ko so jo utrpeli v sadovnjakih Nediških dolin.
Benecia, nostro paradiso perduto_Benečija, naš izgubljeni raj
Ritorna il racconto, per alcuni il mito perenne del paradiso perduto; perenne, perché può adattarsi a diversi luoghi e situazioni. Uno di questi è certamente la Benecia, da tutti salutata come l’ultima delle terre promesse, per la salubrità dell’aria, il fresco dei boschi, la purezza dei ruscelli e delle sorgenti d’acqua, la varietà dei frutti, in specie le mele. Proprio da queste sono state attratte le novelle Eve, che dagli alberi proibiti hanno staccato il prezioso frutto, per mangiarlo certo, ma dato che si trattava di quintali, non potevano trangugiarlo da sole, e così si sono date al commercio. Non abbiamo notizie di castighi terrestri, di quelli celesti non osiamo parlare, ma la cosa non deve rimanere impunita, perché rinnova antichi soprusi compiuti ai danni dei Valligiani, quando i prati erano più estesi ed i castagni, in questa stagione, davano i loro frutti generosi e saporiti. Se ne sono accorti anche i forestieri che hanno invaso valli e monti, animati da uno zelo purificatore: hanno pulito tutto, inalberandosi pure, se i proprietari non erano soddisfatti di questa pulizia. Com’è strano questo mondo! E continua ad esserlo, perché questo paradiso continua ad essere espropriato da vicini e lontani, magari invidiosi se sul Matajur rischia di arrivare qualche tappa importante, non importa di che cosa, ma comunque importante. No, la Benecia deve continuare a dare e non deve pretendere, perché a ciò non è stata destinata. Anzi deve essere perfino riconoscente per quel che le è tolto, magnificando al sommo qualche piccolo beneficio del passato. Tanto siamo abituati a piegare il capo. E invece la storia non può continuare così, perché dobbiamo diventare i cherubini che difendono il loro paradiso, come nello straordinario racconto biblico. Se faremo nostro questo proposito, potrebbe succedere nuovamente qualcosa di bello per le nostre valli e soprattutto sarebbero valorizzate tutte le iniziative che da decenni accompagnano la nostra vita. Solo che è necessario un salto di qualità ed una maggiore presenza nella società civile, per marcare la nostra azione e mostrare quella determinazione indispensabile per i nostri tempi. Abbiamo degli illustri predecessori, uomini che hanno lavorato perché giungesse fino a noi, il più possibile intatto, il nostro patrimonio che costituisce la nostra carta d’identità e anche il progetto per il futuro. Ritroviamo le stesse motivazioni, fatte di consapevolezza, di cultura, di fede perché il paradiso che ci è stato affidato, possa fiorire, crescere e portare i suoi frutti, non per la rapina altrui, ma per il nostro bene. (Marino Qualizza)
V uvodniku tiskane izdaje Doma z dne 15. oktobra, odgovorni urednik msgr. Marino Qualizza se odziva na krajo velikih količin jabolk, ko so jo utrpeli v sadovnjakih Nediških dolin.
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