Per entrare nel mondo dei Santi della Chiesa slava d’Oriente a volte non serve sfogliare ponderosi volumi: basta bussare alla porta accanto. A volte, capita che chi viene ad aprire questa porta e ad aprirsi a chi bussa sia proprio lui, il Santo che cerchiamo, quello che con l’umiltà della grandezza ci indica ciò che dobbiamo fare; quello che si scusa se, nella propria avvertita piccolezza umana, non riesce a trasmetterci tutto quello che sa, che sente e che vorrebbe infondere in noi.
Ignazio Brianchaninov è appunto uno di questi grandi Santi che hanno saputo rendere altrettanto grande la spiritualità slava, ma con un profondo senso di umiltà: «È una cosa terribile assumersi pretese di direzione spirituale che possono essere compiute solo per mezzo dell’azione dello Spirito. È cosa terribile pretendere di essere la nave dello Spirito Santo. Tale ipocrisia è tremenda ed è dannosa sia per se stessi che per il prossimo». Questa considerazione, che anche oggi vorremmo non solo leggere ma sentire, riassume il modo di pensare di questo Santo per il quale solo gli errori sono propri dell’uomo, mezzo imperfetto dello Spirito di Dio, mentre tutto ciò che è buono proviene solo da Dio.
Essere portato da Dio allo stesso modo di come si porta Dio nel proprio cuore: è questo forse il fil rouge spirituale che lega i pensieri e le parole del Santo allo stesso modo di come un rosario lega la concatenazione delle preghiere. È l’amore cristiano la colla che salda questo legame tra Dio ed uomo: «L’amore di Dio — dice Ignatii — è un dono di Dio in una persona che si è preparata a ricevere questo dono attraverso la purezza del cuore, della mente e dello spirito. L’entità del dono dipende infatti dall’entità della preparazione: perché Dio, anche nella sua miericordia, è giusto».
Nato nel 1807, Demetrio Alexandrovich Brianchaninov — Ignatii è il nome religioso —, venne avviato dal padre, ricco possidente terriero appartenente all’aristocrazia russa, alla carriera militare e fu iscritto alla prestigiosa Accademia militare di San Pietroburgo, dove non tardò a distinguersi per merito, attirando perfino l’attenzione del granduca Nokolaj Pavlovich, il futuro zar Nicola I. Nel 1827, a seguito di una grave malattia, rassegnò tuttavia le dimissioni e fino al 1831, anno in cui venne ordinato sacerdote con il nome di Ignazio, visse come novizio in monastero, in ottemperanza alla forte vocazione monastica che da sempre lo aveva accompagnato. Poco dopo, nell’autunno del 1833, lo zar Nicola I in visita all’Accademia militare di San Pietroburgo chiese notizie dello studente Demetrio Alexandrovich e, saputone le ultime vicissitudini, lo chiamò nominandolo Igumen del Monastero di San Sergio con il preciso compito di farne un indiscusso faro del monachesimo slavo sia in Russia che all’estero. Compito che il futuro Santo perseguì per oltre ventiquattro anni, al termine dei quali la spiritualità monastica riprese in lui il sopravvento e, incurante della posizione nel frattempo raggiunta di Vescovo nella vasta area del Caucaso e del Mar Nero, Ignatii preferì ritirarsi come semplice monaco in un monastero della diocesi di Kostroma per cercare di affinare ancor più la propria spiritualità e fare in modo che anche altri, attraverso i suoi scritti, potessero incamminarsi sulla strada del misticismo e della preghiera mistica.
Prendendo spunto dalle parole dell’apostolo Marco, Ignatii Brianchaninov soleva infatti dire che il corpo umano deriva dalla terra e che per esso valgono le stesse regole di ogni altro prodotto della terra: deve cioè essere coltivato. La preghiera è il concime con cui coltivare e fare crescere la spiritualità e l’ascetismo dell’uomo, le uniche qualità che possano renderlo diverso da ogni altro essere terreno. E tuttavia la preghiera appartiene al corpo, secondo la mistica dell’esicasmo a cui anche Brianchaninov si può dire che appartenga. L’esssre umano infatti è corpo ed anima insieme e la vera profonda preghiera si ha solo quando anche il corpo ne è coinvolto all’unisono con l’anima.
«Dio — dice un altro asceta slavo, Dorotej — è attento allo spirito e alla fede, non alla molteplicità delle parole. Bisogna dunque pregare con grande fervore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito, con tutto il cuore, con tutte le proprie forze». È questo che Ignatii Brianchaninov aveva in mente quando ha scritto le sue annotazioni sul ruolo che il corpo può avere nella preghiera. Alla posizione stessa del corpo — concentrato su se stesso — deve corrispondere il respiro, coordinato e ritmato con quanto si va formulando: «Una pronuncia scandita lentamente delle parole della preghiera favorisce l’attenzione; così la mente potrà trarre ogni beneficio nel confinare se stessa all’interno della preghiera e non perderà neppure una singola parola di essa. Quando preghi da solo, pronuncia ogni parola con tranquillità: ciò favorirà l’attenzione».
«Edificato dall’insegnamento dei padri, o padre Ignazio, hai potuto apprendere le regole della vita monastica e diligentemente far uso dell’obbedienza, seguendo la via tracciata dai Santi», dice l’Apostikon del giorno della sua festa, il 30 Aprile, mentre uno Stichiron evidenzia il particolare ruolo che per il Santo slavo ebbe il coinvolgimento di ogni singola fibra del corpo umano nella preghiera: «Nel corso della tua vita, o venerabile, hai insegnato che il cuore dell’uomo trova riposo quando cammina nell’insegnamento di Cristo».