Il ruolo identitario del nostro “Pust”_Identitarna vloga našega pusta

Siamo appena entrati nel periodo quaresimale con il mercoledì delle Ceneri, giorno in cui la Chiesa ricorda ai fedeli la condizione umana di fronte al disfacimento del corpo in vista di una necessaria riaffermazione dell’anima, dello spirito, della componente trascendentale che ne caratterizza l’essenza e l’esistenza in questo mondo. La cerimonia dell’imposizione di una presa di cenere sul capo era accompagnata dal memento: «Pulvis es et in pulverem reverteris» (Sei polvere e tale ritornerai). Pensaci! Ti attendono, dunque, quaranta giorni di riflessione, penitenza, privazione, insomma segui una prescrizione che non ti impegna di certo come il fedele del Ramadan musulmano, ma ti dà il senso di uno stile di vita meno godereccio e dispersivo dove la carne prevale sullo spirito. Era chiaro che la prescrizione potesse pesare non poco ai praticanti ed è comprensibile che il giorno prima dell’entrata in vigore della prescrizione di digiuni e astinenze dalla carne la gente si lasciasse andare nella possibile soddisfazione quale estremo desiderio. Godiamocela, che da domani ci sono 40 giorni di magra. Carnevale, dunque.

Si dice che il termine Carnevale derivi dal latino «carnem levare», una limitazione accompagnata per 40 giorni da continui inviti alla conversione, al pentimento in vista della Pasqua di resurrezione. Però si argomenta anche che questo termine abbia origini ben più lontane, «ricondotte al “carrus navalis”, carro della dea Iside patrona dei navigatori (celebrata) su un battello a ruote tra danze e canti della gente» (Mario Alinei, linguista). Una festività pagana antecedente al cristianesimo. Non è diffide collegare infatti questo tipo di manifestazioni carnevalesche, proprio con carri allegorici, specialmente alle città di mare. Una visione ben diversa dalla precedente.

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