Tra le figure più importanti della Chiesa slava e sicuramente la più importante del diciannovesimo secolo va annoverato il metropolita di Mosca Filaret: profondo teologo, grande statista non solo a livello ecclesiale, ispiratore di fede e di pietas anche nei non credenti, fine predicatore, illuminato poeta. Una delle sue più illuminate poesie in cui le sue capacità di abile poeta si fondono con gli aneliti della fede, venne scritta in risposta ad una frase negativa sul senso della vita che Puškin gli aveva fatto recapitare: «Non invano né per gioco / mi fu assegnato di vivere da Dio / e senza l’insondabile volere di Dio / la vita sarebbe condannata alla morte. / Io stesso con strenue forze / ho avuto ragione del male fino nel nero abisso / e la mia anima ho riempito di fede / svuotando la mia mente dai dubbi. / Poni attenzione a Chi non andrebbe dimenticato, / trapassa di luce la matassa dei pensieri: / potrebbe allora essere che Tu abbia creato / un cuore puro al pari di una mente pura».
Vassily Michailovich Drozdov nacque nel 1782 da una famiglia di sacerdoti nella cittadina di Kolomna, non lontano da Mosca, e morì nel 1867, avendo dunque a sua disposizione tutto il tempo necessario affinché chiunque potesse comprendere ed apprezzare le sue profonde ed eclettiche doti di uomo di Chiesa e di colto esponente della raffinata cultura dell’epoca. La sua opera di teologo ed esegeta poggia infatti solida su oltre duecento titoli che evidenziano la sua vasta gamma di interessi.
Vassily Michailovich fino da giovane usò uno dei suoi polmoni per respirare aria di Chiesa: studi nel seminario di Kolomna, successivi studi nel Seminario Teologico della Santa Trinità di Mosca dove, completato il percorso di studente, si fermò come docente di ebraico e di greco e, in seguito, di poesia. L’amore per la Chiesa e la fede in Dio lo convinsero a prendere i voti con il nome di Filaret. La suggestiva cerimonia della tonsura, ancora oggi vissuta in tutta la sua intensità nella Chiesa slava d’Oriente, avvenne il 16 novembre del 1808, a ventisei anni: la giovane età non fu di ostacolo all’essere nominato predicatore nel famoso monastero (Lavra) di San Sergio e della Santa Trinità, segno tangibile di un notevole apprezzamento nei confronti della sua spiritualità ma anche della sua cultura. Poco meno di un anno più tardi gli verrà affidata la cattedra di Filosofia e Teologia all’Accademia Teologica di San Pietroburgo. Membro della commissione per le scuole teologiche, membro della società biblica, membro dell’Accademia Russa delle Scienze, membro della commissione affari legali della Chiesa, membro del Santo Sinodo: la duplice carriera religiosa e non di Filaret fu rapidissima finché nel 1826 venne eletto Metropolita di Mosca e Kolomna, carica che si aggiunse alla attività di docente e di rettore dell’Accademia Teologica.
Molti importanti eventi sono associati al nome di Filaret: ad esempio, nel 1823 fu lui a redigere e a tenere segreto il documento con cui lo zar Alessandro I nominava il principe Nicola come erede al trono e fu sempre lui a cercare di dirimere e porre un rimedio a quelli che iniziavano ad essere problemi di incomprensione tra Chiesa e Stato.
L’abbandono fiducioso nelle mani di Dio e il ricorso alla preghiera furono gli antidoti che Filaret usò in tutta la sua vita non solo per ciò che lo riguardava personalmente, ma costituirono uno dei punti di forza della sua teologia. Un consiglio richiesto da chicchessia? «Abbandono fiducioso nelle mani di Dio e preghiera». La necessità di riflettere in modo costruttivo? «Abbandono fiducioso nelle mani di Dio e preghiera» e una preghiera del mattino figura infatti tra le cose più lette di Filaret. Non a caso è una delle sue pagine più lette: la bellezza del testo, la fede che trabocca ogni singola parola, la musicalità che il testo russo trasuda — chi dice che le lingue slave sono dure ed aspre nella loro sequenza di consonanti? — ne fanno un testo veramente speciale, come difficilmente si legge e come invece dovrebbe essere letto, recitato e meditato quotidianamente:
«O Signore, fa’ che io possa andare incontro al nuovo giorno in pace. / Aiutami affinché per ogni cosa / io mi possa affidare al tuo santo volere. / In ogni ora del giorno / fammi capire cosa tu desideri. / Insegnami a considerare tutto quanto mi circonda, / nella pace dell’anima / e con il convincimento che la tua volontà governa tutto. / In ogni mio gesto o mia parola, / guida i miei pensieri e i miei atti. / Per ogni cosa imprevista, / fa che io non possa dimenticare che tutto proviene da te. / Insegnami ad agire con fermezza e con saggezza / senza amareggiare o imbarazzare gli altri. / Dammi la forza di affrontare la fatica di questo giorno / con tutto ciò che esso potrà portare. / Dirigi la mia volontà. / Insegnami a pregare. / Prega tu stesso insieme a me. / Amen».
Oggi non si parla più di Dio: è un concetto superato. Né si parla con Dio: al massimo si sorride ascoltando i dialoghi burleschi di Don Camillo nei film omonimi. Invece Dio aspetta che noi parliamo con Lui e che rimettiamo a Lui la nostra umanità. Filaret ci ha lasciato scritto come fare ed è ancora una preghiera a cercare di rompere questa barriera tra Lui e noi: «Signore, non so neppure cosa ti dovrei chiedere! / Tu, solo tu conosci ciò di cui ho bisogno. / Tu vedi le mie necessità che io stesso ignoro. / Guarda verso di me e innalzami! / Io sto alla tua presenza / intimorito e in silenzio davanti alla tua volontà / che la mia mente non riesce a penetrare. / Fammi capire come debbo io pregare».