P ulfero / Podbuniesac, con le sue 55 frazioni distribuite su una superficie di kmq 48,03 è il comune delle valli del Natisone con la maggior dispersione territoriale degli insediamenti abitativi, con circa 54 km di strade comunali che si inerpicano dai 175 m. sul mare del fondovalle ai 775 m.s.m.di Iereb / Jerebi sul versante del Matajur e Calla / Kau (753 m) e Montefosca / Čarnivarh (725m) sotto il Vogu sui contrafforti della destra del Natisone.
Bello sarebbe stato dedicare una pagina intera del Dom a tutte le 55 località in cui vive la comunità locale, tuttavia è da 15 mesi, vale a dire dal gennaio dello scorso anno, che il Dom vi dedica la pagina 5, un materiale di tutto rilievo. D’altronde va detto che sotto Mersino / Marsin si contano 9 località distinte, lo stesso dicasi per Rodda / Ruonac con 14 e per Pegliano / Ofijan con 9. Ci vorrebbero arti istrioniche o divinatorie per trovare per ognuna di esse materiale storico adeguato.
Purtroppo questo è un territorio che oggi paga caro il suo retaggio storico dell’autonomia ed, in un certo senso, dell’autarchia goduti ai tempi della repubblica di Venezia. Insediamenti grossi resistono meglio all’usura del tempo e dei ricorsi storici. Circa 50 anni fa (a. 1961) il comune aveva 3.306 residenti ed almeno una decina di frazioni che superavano il centinaio di abitanti (Montefosca / Čarnivarh addirittura 385 ab.); quella che ne aveva di meno (28 ab.) era Bizonta / Bizonti. All’inizio del 2009 dei residenti di allora ne rimaneva un terzo (1.094 ab.) e solo il capoluogo e Tarcetta ne potevano mettere insieme un centinaio ciascuna, mentre le frazioni che non arrivavano a 10 abitanti erano quasi una ventina.
Nelle mie visite quindicinali ai vari paesi appariva fin troppo evidente questa ecatombe demografica: case sprangate, campicelli incolti, prati divenuti boschi, solitudine e silenzio. Ovvio che mi chiedessi e ponessi ai rari interlocutori il solito quesito: quali le prospettive per il futuro? Cosa si sarebbe potuto o dovuto fare per fermare il degrado? C’è un rimedio alla pura e semplice rassegnazione e al nefasto destino?
Queste ed altre questioni, a mo’ di conclusione di questo ciclo dedicato al comune di Pulfero, sono emerse nel colloquio con Piergiorgio Domenis, che da oltre 20 anni segue le sorti del comune ed è al terzo mandato come suo primo cittadino. E’ stato un incontro tra amici avendo entrambi a cuore le sorti di questo piccolo mondo, unico ed irripetibile che è la Slavia.
«Proprio in relazione alla dispersione territoriale — rispondeva Domenis — e per venire incontro alle reali necessità della gente più distante dal capoluogo l’amministrazione comunale ha istituito un servizio di trasporto se non altro per facilitare gli anziani nella riscossione della pensione e per poter accedere ai mercati cividalesi. Un servizio analogo tramite i normali servizi pubblici si aggira sui 40/50 mila euro mentre la Provincia lesina anche sui 6/7 mila che basterebbero per una gestione autonoma adeguata. Purtroppo la logica economicistica non può che peggiorare il degrado complessivo, non solo quello demografico. Alla tendenza della gente a ricercare condizioni di vita migliori, le strutture pubbliche non hanno saputo dare risposte adeguate e Pulfero non è riuscito a frenare l’esodo e favorire più ampi insediamenti abitativi nel fondovalle. La gente che avrebbe voluto costruire in zona ha ripopolato il Cividalese e i dintorni. A noi purtroppo non rimane che la speranza nel ritorno degli emigranti, perché i trasferiti in pianura, sebbene mantengano legami in loco difficilmente pensano al ritorno».
Ricordando le iniziative della Comunità europea di Interreg, Obiettivo III, Gect — Gruppo europeo di collaborazione territoriale, che hanno predisposto finanziamenti per progetti di sviluppo e integrazione sul territorio transfrontaliero, la reazione di Domenis non ha mostrato entusiasmo.
«Ci sono stati momenti nel passato, l’ultimo quando si è giunti al commissariamento della Comunità montana, in cui sembrava che, finalmente, si iniziasse a ragionare non per campanili ma tutti insieme i sindaci del comprensorio nella ricerca di programmi, di progetti comuni in una visione collaborativa, consci che nessun comune era in grado di impostare una strategia di sviluppo limitata al suo territorio. Ad esempio, se si vuole adeguare alle esigenze turistiche una strada che parte da Castelmonte per giungere a Stupizza e questa attraversa sette comuni che senso ha una programmazione divisa per sette? E senza collaborazione e sinergia quale ipotesi di poter usufruire dei fondi europei se si trascurano le reciproche convenienze con i comuni limitrofi della Slovenia?
Ma noi, per tutto il dopoguerra rimaniamo impegolati su diatribe pseudopolitiche riguardanti la nazionalità, la lingua, l’appartenenza slava o slovena… come se questo fosse l’unico vero problema per la nostra sopravvivenza. E, a dire il vero, potrebbe anche essere un possibile elemento di rinascita, se visto nell’ottica dei diritti costituzionali e internazionali, quindi come elemento positivo caratterizzante la comunità delle valli. L’esempio sudtirolese potrebbe essere stimolante se non altro come spunto di riflessione.
E mentre noi cerchiamo di salvare il salvabile nel nostro piccolo, la politica nazionale e regionale, senza trovare soluzioni adeguate alla chiusura delle Comunità montane, rischia di svuotare lo stesso ruolo tradizionale delle nostre amministrazioni comunali.
E’ vero, anche in relazione a questo clima di tensione, non è stata tra le priorità della mia amministrazione quella dell’applicazione della legge 482/99 e della legge regionale riguardanti la tutela della comunità slovena. Ma siamo corsi ai ripari e finalmente, sebbene con qualche difficoltà per le resistenze dell’opposizione, siamo riusciti ad approvare lo statuto inserendovi anche la toponomastica slovena locale. Entro agosto, avendo già a disposizione i mezzi finanziari, verranno installate le tabelle stradali bilingui a costo zero per il comune, in quanto i costi sono coperti dalla Ptovincia ai sensi della Legge 482/99, che tutela le diverse comunità linguistiche storiche in Italia».
Ricordo che la prima Comunità Valli del Natisone e le seguenti Comunità Montane istituite «per la valorizzazione delle proprie zone montane e per la promozione dell'esercizio associato di funzioni comunali» le quali, tutte, avrebbero dovuto costituire concreto supporto alle amministrazioni locali, non hanno affatto svolto il loro compito statutario, a giudicare dai risultati e la collaborazione dei tre comuni Pulfero, San Pietro al Natisone e Savogna, invece di migliorare la situazione, l’ha ulteriormente comlpicata. Oggi grosse ipoteche pendono sugli assetti degli enti locali, in considerazione delle proposte fatte filtrare finora dagli strateghi regionali. Nel complesso, quindi, le domande iniziali sul futuro delle valli del Natisone sono prive di qualsiasi risposta positiva a breve termine e, quel che è peggio, non si intravvede espressa volontà di ricercare, elaborare e proporre un fronte unitario al tentativo regionale e provinciale di svuotare questi enti intermedi di ogni facoltà decisionale.
Rimane il piccolo cabotaggio e la gestione dell’emergenza quotidiana.
«Se vi fosse un serio confronto all’interno delle singole amministrazioni e delle stesse tra loro — prosegue Domenis — su problemi reali e non l’esaurirsi su tematiche etnoliguistiche già abbondantemente superate dalla storia con l’Europa allargata, ma si cercassero soluzioni condivise ai tanti handicap in cui ci troviamo, la prima ad avvantaggiarsene sarebbe la nostra gente. Si scoprirebbero, allora, le opportunità che vengono offerte dall’apertura del confine e dalla collaborazione transfrontaliera col supporto economico europeo.
Ogni comune, dal canto suo è chiamato ad amministrare il proprio ambito non solo sul piano infrastrutturale e nei servizi, ma aprendosi a tutto lo spettro del vivere comune valorizzando anche il proprio patrimonio culturale, collegato alle usanze civili, religiose tradizionali. Pensiamo solo al valore del “pust” ed alle potenzialità della sua valorizzazione. Una Pro-loco efficiente e dinamica è stata in grado di richiamare a Pulfero 5000 persone solo per il carnevale. Ciò, unito ad iniziative come “Calla in poesia – Kau v poeziji” o lo sfruttamento intensivo del richiamo turistico della grotta d‘Antro, e chissà quant’altro ancora, sono premesse concrete per un possibile risveglio. Ma forse si sta perdendo proprio quel senso di comunità che aveva comunque supportato la difficile sopravvivenza nel passato.
Lo ripeto spesso ai consiglieri: dobbiamo ritrovare al nostro interno un’unione d’intenti che raduni le forze rimaste ed insieme metterci in rete con i nostri vicini del caporettano e del tolminese. Non si tratta di filoslavi o altri “filo”… ci troviamo in una realtà in rapida evoluzione che non potrà trovare sbocchi se non superando la chiusura a fondo di sacco cui ci hanno costretto la politica dei blocchi contrapposti e la conseguente conflittualità creata ad arte tra il nostro essere implicitamente cittadini italiani ma di lingua, cultura e tradizioni slovene, dove – sia ben chiaro – il continuo riferimento alla Slovenia come alternativa e del tutto fuori luogo».
A pensarci bene, va fatto realmente lo sforzo, da parte dei comuni rientranti nelle leggi 482/99 e 38/01, a pretendere dalla Regione la costituzione di un ente sovracomunale dotato di personalità giuridica in grado di esercitare finalmente un ruolo di programmazione, di guida e di traino per contribuire allo sviluppo complessivo dei bacini del Natisone e dell’Isonzo. Sarebbe forse l’ultima occasione per rispondere in modo coerente ed adeguato alle sollecitazioni ed alle offerte d’aiuto da parte della Comunità europea, prima che il suo interesse si sposti verso le nuove prospettate frontiere balcaniche.