Il Friuli fu teatro di una fitta rete spionistica militare

KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERAAd allargare la fascia di coloro che sostenevano l’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale furono le centinaia di irredentisti goriziani e triestini che si erano rifugiati a Udine. Il passaggio del confine avveniva dapprima attraverso le lagune. Vaporetti della navigazione triestina, complice l’allora semplice ufficiale della marina, Nazario Sauro, approdavano a Porto Nogaro per non fare ritorno in Austria. Per la fuga gli irredentisti si servirono anche di navi per il trasporti di carbone. Da San Giorgio di Nogaro i fuoriusciti si concentravano a Udine, dove già nell’agosto del 1914 sorse il primo nucleo organizzato che andò via via ingrossando. Altri arrivarono via terra con passaporti falsi o passando il confine di notte. A Udine l’organizzazione degli irredentisti, guidata da Carlo Banelli, trovò appoggi, sostegni e finanziamenti. La «Delegazione e assistenza dei profughi», così si chiamava il gruppo dei fuoriusciti, ebbe sede dapprima in via della Prefettura, negli uffici di Ugo Zilli presso la Camera di commercio, poi, quando il suo numero si allargò, si spostò in piazzetta Valentinis.  Dall’ottobre 1914 l’organizzazione pubblicò il settimanale «Ora o mai», diretto da Romeo Battistig, goriziano di origini, veneziano di nascita e naturalizzato udinese, sul quale si propugnava con toni accesi l’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa contro gli imperi centrali per conquistare le terre «irredente» del Trentino, della Venezia Giulia con Gorizia, Trieste, l’Istria, Fiume  e parte della Dalmazia. I giovani più infervorati della «Delegazione e assistenza dei profughi» promossero numerose manifestazioni per ottenere l’intervento dell’Italia. Il 30 novembre al teatro Minerva di Udine parlò Cesare Battisti (era suo il motto «Ora o mai» che diventò il titolo del giornale interventista), il quale sostenne la necessità di scendere in guerra «per la difesa della libertà dei figli irredenti» che nel Trentino erano «aggiogati al dispotismo tedesco, nell’Adriatico alla prepotenza slava,  e nell’Ungheria a quella magiara». Per spingere l’Italia all’intervento i fuoriusciti austriaci pensarono perfino di organizzare un incidente di frontiera con un’azione dimostrativa che sarebbe dovuta avvenire a Cormons. Non se ne fece nulla per l’intervento del presidente del Consiglio, Antonio Salandra. Ma l’idea non fu abbandonata perché la sera del 2 aprile 1915, Venerdì santo, Giovanni Giurati e Giuseppe Sillani fecero una ricognizione nella valle del Judrio con l’intenzione di progettare un assalto alla caserma della guardia di finanza austriaca e poi di salire sul Korada insieme ad alcuni reparti italiani presenti nella valle. Sulla strada del ritorno i due vennero fermati dai carabinieri a Castelmonte, portati a Cividale e rilasciati dopo qualche ora per intervento della questura di Venezia.
La rete spionistica
Prima dell’entrata in guerra dell’Italia, Udine e il Friuli, oltre ad accogliere le organizzazioni degli irredentisti, furono teatro di una fitta ed efficace rete spionistica. Da una parte l’Austria voleva conoscere i piani delle fortificazioni che l’Italia stava costruendo già da qualche tempo in Friuli, in particolare a Ragogna e a Pinzano, dall’altra parte l’esercito italiano, messo in allarme dai movimenti irredentisti della Venezia Giulia, mirava ad entrare in possesso dei progetti militari che l’Austria stava realizzando lungo la frontiera dal Predil all’Adriatico. Dal 1913 alla data della dichiarazione della guerra ben 13 informatori austriaci o supposti tali vennero processati dalla Corte d’Assise di Udine. Di essi solo cinque vennero assolti per insufficienza di prove. Da parte sua l’Italia aveva reclutato numerosi informatori tra gli irredentisti, che facevano capo all’insospettabile Comitato udinese della «Dante Alighieri», presieduto dal garibaldino Luigi Carlo Schiavi. Alla Dante Alighieri arrivavano numerose notizie sugli armamenti navali e terrestri che l’Austria stava approntando nella Venezia Giulia, in Istria e lungo la costa dalmata.
Della rete di informatori fecero parte anche alcune persone delle Valli del Natisone. Alla prefettura di Udine furono rinvenuti documenti relativi a Carlo Jussig di Azzida che era funzionario delle poste di San Pietro al Natisone. Qualche anno prima della guerra riuscì a fornire utili notizie sui preparativi austriaci a Tolmino e a Caporetto dove nel 1912 fu arrestato per spionaggio ed espulso dal territorio austriaco. Riuscì a ritornarvi poco prima che scoppiasse la guerra e, giovandosi delle conoscenze che aveva, continuò a inviare informazioni utili alle autorità italiane. Un altro informatore era don Giovanni Gujon, cappellano di San Volfango, che inoltrava i rapporti al comando della divisione Cavalleria di Udine. Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità, richiesto se corrispondeva al vero che nella valle dell’Isonzo erano stanziati 80mila militari, rispose che ve n’erano appena 80, in quanto la zona era stata del tutto sguarnita dall’esercito austro-ungarico.
Le fortificazioni militari
Non è un mistero che la Triplice alleanza, stipulata dall’Italia con Austria e Germania nel 1882, non era altro che un matrimonio di interesse. Le questioni lasciate aperte con l’Impero asburgico dalla Terza guerra d’indipendenza (1866) rimanevano di estrema attualità, in particolare, per il Regno sabaudo, la conquista di Trento e di Trieste. Che il confine dallo Stelvio all’Adriatico fosse caldo per entrambi gli stati è dimostrato dal fatto che ben prima che si parlasse della guerra entrambi i governi pensarono bene di approntare fortificazioni lungo la frontiera. Lo stesso imperatore Franz Jozef incoraggiava gli armamenti lungo il confine italiano. Dallo Stelvio al mare vennero realizzate una ventina di guarnigioni.  Opere militari furono costruite a Kanal, Plava, Bovec e Žaga. Nel 1911 venne aperta la strada Idrsko-Livek nella valle dell’Isonzo. Già in quell’anno l’arciduca d’Austria Ludwig salì sul Matajur, sul Kolovrat e sul Korada. L’Italia si accorse della necessità di fortificare la frontiera nord-orientale con un certo ritardo.
Solo negli anni 1911-12 le richieste di armamenti in Friuli si fecero più insistenti e venne proposta la costruzione della ferrovia Maniago-Longarone e Meduno-Socchieve. In seguito furono costruiti le fortificazioni di Colloredo di Montalbano, monte Bernadia, Pinzano, monte di Ragogna, Tricesimo, Fagagna, Santa Margherita del Gruagno, Rivolto; a Codroipo e a Latisana furono realizzate due teste di ponte.
Allo scoppio della guerra rimanevano quasi del tutto scoperte le Valli del Torre e del Natisone. Appena il 10 ottobre 1914 il parroco di San Leonardo, don Giovanni Petricig, nel Libro storico annotò: «Oggi 150 bersaglieri principiano il tronco di strada da Jainich al monte Spich. Questi soldati, che sono d’alloggio a Scrutto, lavorano anche di domenica». Questo ritardo si rivelò in tutta la sua gravità nell’ottobre del 1917, quando le truppe austro-germaniche sfondarono nella Valle dell’Isonzo. E fu la rotta di Caporetto.

Deli članek / Condividi l’articolo

Facebook
WhatsApp