È stato già ricordato su questa pagina, in base ai resoconti delle assemblee, quanto mons. Ivan Trinko fu attivo in consiglio provinciale nel corso della sua ultraventennale attività politica. È noto, però, che i verbali sono necessariamente sintetici, asettici e non esprimono compiutamente il pensiero e i risvolti di un intervento. Per conoscere più compiutamente l’attività sociale e politica del prete e intellettuale sloveno ci viene in soccorso Tiziano Tessitori, il quale nei due volumi citati, offre un quadro assai complesso ed esauriente sul movimento cattolico in Friuli dal 1858 al 1925, nell’ambito del quale mons. Trinko ebbe un ruolo di primo piano. Tra l’altro il politico friulano ricorda che «fu dovuta ai cattolici l’istituzione dell’Ufficio Provinciale del lavoro». Ciò avvenne nella seduta del consiglio del 1° luglio 1907, quando «i quattro consiglieri di parte cattolica – due preti, il prof. Trinko e don Marcuzzi, e due avvocati, Brosadola e Casasola – presentavano la proposta della istituzione di un Ufficio provinciale del lavoro. La proposta trovava accoglimento e una commissione composta dai consiglieri Brosadola, di Caporiacco, Coren, Cristofori e Spezzotti veniva incaricata di elaborare lo statuto e le norme regolamentari della nuova istituzione. Nella seduta del 20 gennaio 1908 il Consiglio provinciale approvava statuto e regolamento». L’Ufficio era retto da un Consiglio di diciannove membri, nominati cinque dal Consiglio provinciale, sette dalle associazioni dei datori di lavoro e sette da quelle dei lavoratori. «I cattolici – annota Tessitori – furono la parte più attiva di questa rappresentanza. L’istituzione fu assai utile. Una sua inchiesta sui coloni venne condotta con grande scrupolo e servì a sollecitare la riforma dei patti colonici. L’Ufficio durò fino alla prima guerra mondiale» (T. Tessitori, Storia del movimento…, cit. p. 228).
Ed è proprio nella riforma dei patti colonici che mons. Ivan Trinko, assieme ad altri consiglieri cattolici, ebbe una parte decisiva. L’agitazione dei coloni, dei mezzadri e affittuari – associati nelle cosiddette «leghe bianche» di ispirazione cattolica per distinguerle dalle «leghe rosse» di matrice socialista – traeva origine dalle precarie condizioni di vita e dalle forti contribuzioni che essi dovevano ai proprietari terrieri. Nell’assemblea generale del 12 maggio 1920 essi decisero di sospendere ogni corresponsione «di onoranze e prestazioni di opere gratuite» e di rifiutare ogni «trattativa diretta coi proprietari per la rinnovazione dei contratti colonici» (T. Tessitori, Storia del Partito popolare…, cit., p. 84). Di più, il comitato di agitazione «dispose che dal primo giugno i coloni non consegnassero ai propietari la metà dei prodotti di loro spettanza, iniziando dai bozzoli, il cui peso nell’economia friulana era rilevante» (p. 86). Sull’altro versante i proprietari stabilirono di «mantenere il più reciso ed assoluto contegno di difesa e di attuare i mezzi necessario a fronteggiare la lotta ad essi intimata» (p. 89). Nessun risulato sortirono i numerosi tentativi di mediazione tra i due fronti. Allora intervenne l’avvocato Mario Pettoello, tra i fondatori e segretario del Partito popolare in Friuli, il quale si rivolse direttamente ai rappresentanti delle due parti
invitandole ad intendersi in quanto – era il suo ragionamento – «è necessario che voi proprietari vi persuadiate a ridurre il vostro predominio e voi contadini ad accontentarvi d’un passo alla volta ed ad usar buone maniere, cosa che fino a questo momento non avete fatto» (p. 96).
Il 7 giugno si riunì il comitato provinciale del partito e Pettoello «informò che, insieme a due altri membri dei partito, i consiglieri provinciali conte Francesco Deciani di Martignacco e monsignor Ivan Trinko del seminario, aveva presa l’iniziativa di favorire la mediazione tra la federazione mezzadri e affittuari e la rappresentanza dei proprietari che la federazione aveva aderito» (p. 97). I rappresentanti delle leghe bianche e dei proprietari accettarono la mediazione, ma le trattative si protrassero a lungo a causa della rigidità delle posizioni sull’uno e sull’altro fronte. Nel luglio del 1920 si arrivò finalmente ad un compromesso, frutto di una avveduta diplomazia della delegazione del Partito popolare e di Giulio Balduccini, ispettore superiore al ministero dell’Agricoltura. Ma l’accordo provocò dei malumori tra i popolari friulani, tanto che il giovane Tessitori diede le dimissioni. Mons. Trinko, invece, difese le scelte fatte e, nel corso del congresso del partito tenutosi a Udine il 5 agosto 1920, motivò, anche a nome del collega Deciani, «il proprio intervento durante l’agitazione colonica ispirato a sensi di pacificazione sociale» e deplorò che il presidente della provincia, Agostino Candolini, «abbia svisato i fatti»; mentre mons. Gori, con un discorso che la stampa dell’epoca definì «robusto», difese «l’Unione del lavoro dagli attacchi cui era stata fatta bersaglio, auspicando il ritorno alla concordia» (p. 120).
Superata questa difficile controversia, nell’autunno del 1920 i popolari parteciparono uniti ed entusiasti alla campagna elettorale per il rinnovo del consiglio provinciale. «Il risultato fu vittorioso – annota Tiziano Tessitori –. Il consiglio provinciale risultò composto da trentasei popolari, quattordici del blocco liberale democratico e dieci socialisti. Per la prima volta nel consesso provinciale i liberali perdevano la maggioranza» (p. 135). Tra gli eletti «c’erano anche tre sacerdoti: mons. Giovanni Trinko, che da molti anni rappresentava le valli del Natisone, don Ugo Masotti e don Attilio Ostuzzi» (ivi).
Il 17 novembre il consiglio elesse la «deputazione provinciale», cioè la giunta. Tra i «deputati» supplenti figurava anche mons. Ivan Trinko. Quanto fosse apprezzato e stimato il prete e intellettuale di Tercimonte nell’ambito del Partito popolare è dimostrato anche dal fatto che nel congresso dell’aprile del 1922 (si era ormai alla vigilia della marcia su Roma di Mussolini) egli fu eletto nel comitato provinciale del partito. Per concludere questa veloce ricerca ricordo solo un fatto di cronaca che conferma l’attenzione di Trinko nei confronti della sua Slavia. La politica di assimilazione della minoranza slovena, portata avanti dallo Stato, era presente anche in seno al consiglio provinciale. Seppure indirettamente Trinko colse l’occasione per denunciarla il 30 gennaio 1905, quando in consiglio venne proposta l’adesione alla manifestazione di protesta, che doveva tenersi a Venezia, contro la politica austriaca nei confronti della minoranza italiana in Sud Tirolo e si doveva stabilire un contributo alla Società Dante Alighieri impegnata nella difesa dell’italianità in quella regione. Trinko si alzò e disse: «Devo fare una dichiarazione di voto. Quando si tratta di protestare contro le soperchierie, contro la forza brutale che calpesta i diritti altrui sono sempre pronto, e quindi gli avvenimenti di Innsbruck sono atti che non possano far altro che caratterizzare pubbliche repressioni di tirannia, e quindi sono d’accordo sulla protesta. In quanto invece alla parte che il consiglio vuole prendere rispetto alla Dante Alighieri, dichiaro che sono contrario: noi protestiamo contro le prepotenze altrui, perché si vorrebbe sopraffare l’elemento italiano in un paese, e sta bene; ma io non so – non intendo fare insinuazioni – però mi occorse leggere delle proteste piuttosto gravi contro la Dante Alighieri, come quelle che nel nostro Regno stesso viene ad opprimere altre lingue nazionali. Si deve allora badare se mentre si protesta contro le oppressioni altrui non si concorra in qualche modo a fare altrettanto» (M. Jevnikar, Ivan Trinko, pokrajinski svetovalec v Vidmu 1902-1923, Acta ecclesiastica Sloveniae, Ljubljana 1984, p. 103). È chiara l’allusione alla politica snazionalizzatrice nella Slavia.
Ivan Trinko je bil pokrajinski svetovalec 22 let. »Svojo službo je Trinko opravljal strokovno in zavzeto. Pri tem je upošteval interese celotne videnske pokrajine in še posebej svojih rojakov Beneških Slovencev.« (M. Jevnikar, Ivan Trinko, pokrajinski svetovalec v Vidmu 1902-1923, Acta ecclesiastica Sloveniae, Ljubljana 1984, p. 103)