Saper ritornare sui propri passi_Premisliti svoje korake

Ritornare sui propri passi può dare un contributo a migliorare la strada da fare. In questo caso mi riferisco in particolare alle scelte metodologiche previste già agli inizi dalla scuola bilingue di San Pietro al Natisone. Il mio intento non è certo di criticare quelle scelte, ma riproporre una riflessione più approfondita in risposta a problemi attuali richiamati di recente dall’attuale direttore della nostra scuola.

Direi che finalmente si è sentita la necessità primaria di una più attiva e fattiva saldatura tra la scuola e l’ambiente familiare, sociale, culturale, linguistico, territoriale, che costituiscono la radice e la ragione della sua opera educativa. Essa dovrebbe mirare principalmente al possibile recupero ed alla rivalutazione dell’identità etnolinguistica della comunità locale, specie tra coloro che sono ancora sensibili al richiamo delle proprie radici storiche, linguistiche e culturali. In questo possibile processo, forse, al giorno d’oggi, non pare neppure più necessario in assoluto il fattore della territorialità, in quanto il senso di appartenenza, comunione, solidarietà si può sviluppare anche nella diaspora della nostra comunità slovena. Mi immagino come sarebbero andate le cose se la scuola bilingue già alle sue origini – mi richiamo all’anno 1984 – avesse compreso l’importanza del mantenimento di un rapporto strettissimo con l’ambiente linguistico, con la cultura immateriale e materiale che la nostra comunità ancora possedeva, anche se sopita e vilipesa dall’insipienza politica destrorsa.

In vista dell’istituzione di un’ipotetica scuola in cui si insegnasse la lingua slovena nelle Valli, eseguii per conto dello Slori una ricerca ad hoc. E fu «bilingue» la scelta, nonostante altri orientamenti più radicali. Uscivo, allora, da studi universitari di psicopedagogia, con alle spalle sei anni di esperienza didattica nelle piccole scuole di confine, dopo una tesi di laurea sulla spinosa tematica dei Problemi di identificazione in bambini sloveni della provincia di Udine. È stato sempre, per tutti gli anni di lavoro allo Slori e dopo, il mio «pallino»: convincere soprattutto le sfere dirigenti delle nostre organizzazioni a dare il giusto valore alla competenza linguistica – di qualsiasi grado – già in possesso e uso di persone, famiglie, chiese, paesi e quant’altro. Erano ancora in grado di trasmettere il loro patrimonio culturale alle nuove generazioni. Tutto ciò proprio nel programma educativo della nuova rivoluzionaria iniziativa scolastica. C’era un «ma»: come? Nell’insegnamento, ovviamente, nella quotidianità del rapporto linguistico alunno- scuola-famiglia. Lo sloveno scolastico era socialmente e politicamente avversato dalle istituzioni e, per plagio secolare perpetrato dalla maggioranza italiana, anche dagli stessi parlanti il locale dialetto sloveno. L’italiano, di per sé, storicamente imposto e sovrapposto al linguaggio della tradizione.

Nel 1992, dopo anni di crescita della scuola bilingue, sul periodico del Circolo culturale Studenci scrivevo: «Quale linguaggio, dunque, va insegnato? Soprattutto ai primi stadi della formazione del bambino? Francamente il problema non è di facile soluzione: sloveno locale e italiano standard sono presenti di fatto nella cultura del gruppo, il secondo più del primo; l’italiano quale mezzo di comunicazione, imposto dalle circostanze, ma universale; lo sloveno standard… purtroppo circoscritto quasi alla sola esperienza scolastica». E proponevo: «Che sia il caso di riflettere anche in questo ambito su concetti come: legame con l’ambiente e con la cultura del gruppo (quelli veri, non quelli desiderati)? Gradualità: anche nell’acquisizione del linguaggio standard partendo dai gradi inferiori del dialetto (quello concretamente presente)? Coinvolgimento delle famiglie e dell’ambiente sociale più vasto nell’opera di recupero del patrimonio linguistico preservato?». Oggi, quando ci poniamo il problema di un mancante feedback scuola/ ambiente, saremmo a questo livello se le riflessioni espresse fossero state prese in seria considerazione? Forse numeri minori nelle aule, ma più identità e senso di appartenenza ad una comunità che intende rinascere. (Riccardo Ruttar)

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