Per le comunità linguistiche minoritarie conoscere, confrontarsi, scambiare idee ed esperienze, parlare di progetti e guardare al futuro con altre comunità simili rappresenta un momento di arricchimento, di ricarica di energie, di allargamento di orizzonti ed anche una certa qual consolazione nel vedere da una parte che ci troviamo in tanti a lavorare nella stessa direzione e con le stesse difficoltà, dall’altra che si può e si deve progredire, migliorare, sconfiggere la sfiducia e guardare avanti con ottimismo perché si tratta della salvaguardia di profondi valori umani che devono essere trasmessi alle generazioni future pena un generale impoverimento culturale.
Dopo aver conosciuto le comunità occitane del Piemonte ed essere scesi nel profondo Sud tra i grecanici, gli arbereshe e gli occitani della Calabria, quest’anno l’Istituto per la cultura slovena di San Pietro al Natisone ha organizzato una visita tra i ladini, i cimbri e i mòcheni sparsi sulle montagne del Veneto (province di Belluno e Verona) e del Trentino – Alto Adige.
Lo stupendo ambiente, i massicci dolomitici, i ridenti paesi incorniciati da boschi di conifere e prati sfalciati parlano oggi di realtà economicamente avanzate, socialmente ben organizzate con un’autonomia amministrativa che, pur con le dovute differenze, richiama le antiche vicinie o regole in vigore in alcune di quelle comunità fino agli inizi del secolo scorso. Ma appena si va un po’ oltre l’immagine da cartolina e si apre la pagina della storia di quelle valli, appare un mondo fatto di vita dura, laboriosa, di emigrazione, ma anche di persone tenaci, forti, religiose, attaccate alla propria terra, capaci di sopportare fatiche immani per mantenere la proria famiglia; persone che hanno mantenuto la loro identità con vigore e tenacia ed hanno sopportato sopraffazioni a causa della loro diversità linguistica.
Già da questi brevi accenni si possono trarre più somiglianze che diversità dal punto di vista sociologico e storico; per quanto riguarda, invece, il livello di tutela linguistica e culturale sono maggiori le differenze, che derivano soprattutto da un diverso approccio alla problematica. Non sono, infatti, i circoli e le associazioni culturali in prima linea nella difesa del patrimonio culturale delle comunità, ma sono le amministrazioni comunali, i comprensori montani a richiedere maggiore tutela, a farsi interpreti presso le province e le regioni dell’esigenza di mantenere e promuovere la lingua di queste comunità.
Spesso si tratta di piccole comunità abbarbicate sui monti (la maggioranza di quei paesi è posta oltre i 1000 metri d’altezza) che con tenacia sono sopravvissute all’emigrazione interna ed estera e, alcune di esse, anche alle opzioni per il 3° Reich tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 del secolo scorso.
Il motivo è presto detto e lo ha spiegato molto bene Marco Viola, dirigente del Servizio per la promozione delle minoranze linguistiche locali della provincia autonoma di Trento: le comunità minoritarie, oltre a rappresentare una incomparabile ricchezza linguistica e culturale, costituiscono uno degli assi portanti dell’autonomia della provincia. Una provincia, ha ricordato Viola, che è uno stato nello stato italiano dopo che il secondo statuto regionale del 1972 ha svuotato di competenze l’ente regione e le ha affidate alle province di Trento e di Bolzano. Autonomia, in questo caso, significa disporre di grandi risorse finanziare, derivate soprattutto dalle imposte che rimangono in loco e vengono amministrate con grande libertà di manovra e con un occhio particolare nei confronti delle minoranze linguistiche. Autonomia significa questo, ma significa anche grande responsabilità di fronte ai contribuenti che giudicano gli amministratori e ne valutano l’azione al momento delle elezioni
Con le recenti leggi l’autonomia della provincia si è ramificata nelle comunità locali. La legge provinciale 6/08, che prevede non solo norme di tutela ma anche di promozione delle comunità locali, stabilisce che «al fine di tutelare e valorizzare l’identità delle popolazioni di minoranza e di favorirne uno sviluppo anche sociale rispettoso delle relative peculiarità, promuove ogni forma possibile di autonomia istituzionale e organizzativa e di decentramento amministrativo in favore delle popolazioni stesse».
In particolare la provincia di Trento riconosce il Comun general de Fascia (il comprensorio di Fassa), il consiglio mòcheno costituito dai quattro comuni della Valle dei Mòcheni e il comune di Luserna – Lusérn quali soggetti rappresentanti le popolazioni ladina, mòchena e cimbra. Si noti che Luserna conta appena 302 abitanti!
Un paragone con la realtà della Slavia friulana, su questo piano è impossibile: c’è un tale divario tra l’approccio trentino alle minoranze e quello delle amministrazioni delle Valli del Natisone, ma anche della provincia di Udine e della regione stessa, che cercare punti in comune sarebbe davvero arduo se non impossibile. Basti pensare al problema della scuola bilingue di San Pietro al Natisone e alla lettera dei cinque sindaci al ministro Frattini. I sindaci trentini avrebbero fatto a gara per proporre le soluzioni più consone ed accettabili dal punto di vista didattico e logistico. Ma si tratta di un’altra storia…
Però una storia simile a quella della comunità slovena della provincia di Udine l’hanno avuta i ladini, i cimbri e i mocheni di quelle bellissime valli alpine. Una storia di lavoro durissimo, di emigrazione e di vendita ambulante per tutte le contrade dell’Impero asburgico; una storia di ritmi di vita legati alla terra, alle stagioni, all’allevamento del bestiame e alla coltivazione di quella poca terra adatta alla coltivazione (impressionante in certi casi la somiglianza degli attrezzi e perfino dei kozolci per asciugare il fieno che si credeva presenti solo in aree slovene); una storia di repressioni e umiliazioni durante il ventennio fascista; una storia di autonomie che avevano nella vicinia il fulcro dell’autogoverno locale.
Una storia comune fino allo spartiacque del secondo dopoguerra, quando la Slavia ha conosciuto gli anni bui e il flagello dell’emigrazione, due fenomeni che l’hanno prostrata fisicamente e svuotata della sua anima, mentre in quelle valli alpine cominciava lo sviluppo economico e il turismo di massa, ma si imponeva anche una nuova coscienza etnica e linguistica grazie ad un’autonomia reale e sostanziale e non come quella del Friuli – Venezia Giulia ritardata, sotto tutela e condizionata dall’eredità storica volutamente mantenuta viva dalle organizzazoni segrete.
Certo, anche lassù non sono tutte rose e fiori e il gruppo dei Benečani si è sentito più affine ai ladini della provincia di Belluno, con un livello minore di tutela, che non con quelli di Trento e Bolzano. Una situazione che riflette, in parte, le differenze tra gli sloveni della provincia di Udine e quelli delle province di Trieste e Gorizia.